Pescara, l’arte rinasce in un garage / Le foto

La mostra Fuori Uso allestita in una struttura circolare dove le opere si susseguono come le immagini di un film

di Barbara Di Gregorio

Transenne bianche e rosse, un lungo tratto di sterrato, il sole fosforescente di un pomeriggio d'estate che tramonta tra due mucchi di calcinacci grigiastri: se nelle passate edizioni – l'ultima risaliva al 2007 – la rassegna d'arte contemporanea pescarese Fuori Uso ci aveva abituati alla reinvenzione di strutture dimenticate, quest'anno la scelta dell'organizzatore Cesare Manzo è significativamente caduta su uno spazio proiettato verso il futuro: il parcheggio sotterraneo di un cantiere, vale a dire, proprio in quella zona a ridosso del nuovo tribunale che sta conoscendo ultimamente un grande sviluppo.

Riparte dunque sotto ottimi auspici, la manifestazione artistica che dal 1990 in poi è stata una delle protagoniste dell'estate pescarese: ne abbiamo parlato con l'organizzatore, Cesare Manzo, e con il critico d'arte Giacinto Di Pietrantonio responsabile della scelta delle opere esposte.

Signor Manzo, perché la città ha dovuto aspettare tanto per una nuova edizione di Fuori Uso?

«Abbiamo avuto problemi a reperire i fondi necessari, problemi a trovare strutture disponibili. L'edizione prevista per la scorsa estate allo Stella Maris è saltata, dopo essere stata annunciata alla stampa, perché inspiegabilmente a un mese dall’inaugurazione lo spazio è stato occupato da un altro progetto. Ma lasciamo da parte il passato: quello che conta è il presente: e oggi come vede la gente sta arrivando a frotte. Pescara è una città che risponde alla controcultura come poche altre: e questo mi rende orgoglioso di aver sempre lavorato per proporre progetti innovativi, nonostante le difficoltà. Evidentemente negli ultimi 5 anni l'assenza di Fuori Uso si è sentita».

Come le è venuta l'idea di sfruttare il parcheggio sotterraneo del cantiere Opera di Caldora?

«Non si è trattato di una mia idea, ma di una proposta di Debora Caldora. Lei e la sua famiglia ci hanno sostenuti spesso, in passato: dopo “l’incidente” che ha mandato a monte l'edizione 2011, Debora mi ha contattato e mi ha offerto uno spazio cui era personalmente affezionata: “Quel parcheggio”, mi ha detto “per me ha qualcosa di magico”. Non appena ce lo ha mostrato, Giacinto ed io siamo stati immediatamente d'accordo».

Signor Di Pietrantonio, in cosa consiste secondo lei la magia di questa location?

«La particolarità di Fuori Uso è innestarsi in luoghi sempre diversi, mai pensati per l'esposizione, e ciascuno con una propria caratteristica che per la riuscita della mostra va individuata e assecondata. La struttura circolare di questo parcheggio ha in sè una potenza di cui ci siamo resi conto appena cominciato l'allestimento: non si può stare a guardare nessuna delle installazioni senza sentirsi contemporaneamente osservati, e quindi chiamati, da tutte le altre. La penombra dell'ambiente, inoltre, rischiarato solo da poche finestre – anch'esse circolari – aperte sul soffitto, mette in risalto i colori accesi e le luci che caratterizzano molte delle opere esposte».

Qual è il filo conduttore dell'esposizione?

«Ho scelto le opere, come per tutte le esposizioni di Fuori Uso di cui. mi sono occupato (1994, 1995, 1997 e 1998, ndr) non in funzione di un tema, ma cercando di capire come avrebbero potuto integrarsi con lo spazio a nostra disposizione. Penso alle ruote sfavillanti di Pierluigi Calignano, che scaldano l'ingresso della mostra impedendo all'occhio di perdersi nella vastità dello spazio; oppure a “Giuseppe” di Sislej Xhafa: un Garibaldi a piedi, con in mano delle zollette di zucchero perché sta cercando il suo cavallo: dove altro potrebbe cercarlo, oggi, se non in un parcheggio?».

La particolarità dello spazio ha influito anche sulla disposizione fisica delle opere? «Certamente. Il perimetro della sala,un'unica lunga parete che insegue se stessa, richiama l'idea di una pellicola cinematografica: l'abbiamo usata per esporre una serie di immagini in base alle quali ogni visitatore può costruire una storia diversa. La disposizione, quasi casuale, delle installazioni che occupano lo spazio nel mezzo, è pensata apposta per scongiurare ogni percorso predefinito e invitare il visitatore a esplorare liberamente lo spazio».

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