l'inchiesta

Pescara, pugni in faccia per strada: individuato l’aggressore

Sarebbe un 28enne albanese lo sconosciuto che a metà luglio colpì senza motivo un giovane che stava raggiungendo la Lampara a piedi lungo la strada parco

PESCARA. Si è tradito da solo, vantandosi di quel pugno in faccia con cui aveva mandato in ospedale, direttamente in sala operatoria per avergli fracassato la mandibola, un giovane che neanche conosceva, un giovane incrociato per caso una sera d’estate lungo la strada parco. Ma quelle vanterie da spaccone gli potrebbero costare caro se sarà dimostrato quanto ipotizzano gli investigatori della squadra Mobile e della divisione Anticrimine della questura che l’hanno individuato e, dopo il riconoscimento fotosegnaletico da parte della vittima, denunciato per lesioni gravi. L’accusa potrebbe infatti appesantirsi ulteriormente se il gip, come richiesto dal pm Salvatore Campochiaro sulla base di quanto ricostruito dai poliziotti, disporrà l’incidente probatorio per il confronto all’americana tra la vittima e il presunto aggressore.

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Come riferito a caldo dalla vittima, un 38enne pescarese, e dall’amico che era con lui («l’accento era romeno o albanese, sicuramente non italiano»), il giovane finito nei guai per quel presunto pugno è un 28enne di origine albanese residente a Pescara, zona Zanni. Si tratta di Dennis Petalli, figlio del Ramis Petalli che proprio due anni fa fu arrestato sempre dalla Mobile di Pierfrancesco Muriana, in esecuzione di una condanna definitiva a 3 anni e 11 mesi, su disposizione della Corte d’Appello dell’Aquila, per un presunto traffico di bambini dall’Albania all’Italia che l’uomo e sua moglie avrebbero fatto entrare spacciandoli per figli loro, in cambio di soldi. Vicenda che, dopo aver fatto scalpore nel 2002 quando l’allora dirigente della Mobile Enrico De Simone (oggi questore a Teramo) la portò alla ribalta nazionale, ispirò un libro di Andrea Camilleri, “Il giro di boa”.

A distanza di 14 anni, uno dei figli dell’uomo, Dennis appunto, oggi 28enne, è finito a sua volta nei guai per un’altra storia che quest’estate ha comunque tenuto banco tanto da finire anche sulle reti nazionali: il knockout game, stendere con un pugno in faccia il primo sconosciuto che capita a tiro. Un’accusa tutta da dimostrare e da cui il giovane si difenderà assistito dall’avvocato Alessandra Michetti, ma rispetto alla quale, finora, fa fede il racconto della vittima che dopo avere scartato un altro sospettato, ha indicato proprio il 28enne tra le foto segnaletiche proposte dalla Mobile.

Ma come ci sono arrivati, gli investigatori, che per puro caso si sono ritrovati a indagare su una vicenda su cui invece stavano lavorando i carabinieri intervenuti subito dopo il fatto? Proprio per le presunte vanterie che il giovane si era messo a fare a proposito di quel pugno e dell’eco mediatica che ne seguì, utilizzata dallo stesso giovane come minaccia, e prova del suo “spessore”, negli ambienti da lui frequentati. Vanterie che sono però arrivate all’orecchio dei poliziotti dell’Anticrimine diretti dalla dottoressa Lucà che ha a sua volta riferito ai colleghi della Mobile. E davanti alla foto del 28enne, la vittima, reduce da un lungo intervento di ricostruzione della mandibola, haconfermato i sospetti degli investigatori. Come raccontato al Centro dal testimone oculare e dalla sorella della vittima il giorno dopo il fatto, l’aggressione avvenne la sera del 17 luglio.

Il 38enne aveva appena lasciato l’auto nel parcheggio dietro alle Naiadi per proseguire a piedi verso lo stabilimento sul lungomare, La Lampara, attraversando la strada parco e il viottolo che costeggia la pinetina.

Ma proprio lungo la strada parco i due furono avvicinati da un gruppetto di ragazzi che stazionavano lì vicino: «Che ca...zo ridi?» fu il pretesto con cui uno di questi, dall’accento straniero, tirò un pugno al 28enne che piombò a terra con la mandibola fracassata, un occhio tumefatto, il naso rotto e una ferita alla testa, provocata dalla caduta, che una volta in ospedale gli costò 15 punti di sutura. L’amico si salvò solo perché ebbe il tempo di scappare e di chiamare immediatamente i soccorsi mentre il gruppetto si allontanava. Per la vittima ci fu il ricovero, un lungo intervento chirurgico nel reparto maxillo-facciale dell’ospedale civile e una riabilitazione che dura ancora adesso.

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