Ragazza pescarese presa a bastonate nella metro di Milano, è salva per miracolo: «Ho visto la morte in faccia»

10 Aprile 2025

Il racconto della giovane di 24 anni: «Ricordo quell’uomo nudo e lo sguardo. È scandaloso che, siccome non è stato un omicidio, sia considerato un fatto normale e non si parla di questa violenza». L’aggressore di nazionalità straniera

PESCARA. «L’ho visto arrivare verso di me, era nudo e aveva un bastone in mano. Ho gridato e l’ultima immagine che conservo è quel bastone che si schianta sul mio viso, un dolore incredibile. Si è spento tutto. Ora lo posso dire: ho visto davvero la morte in faccia». Stefania (il nome è di fantasia) ha 24 anni e racconta l’aggressione che ha subito in una stazione centrale della metropolitana di Milano. Lei è una dei tanti figli d’Abruzzo (è di Pescara) che sono al Nord per studiare e trovare lavoro, una vita di speranze, ambizione e determinazione nella giostra della metropoli delle opportunità, ma anche dei rischi. Il senso che oggi prova è di rabbia, tanta rabbia. E non solo per quello e per come è successo, ma per quanto non è successo dopo quel fatto.

«È come se la violenza che ho subito non facesse notizia perché ritenuta di ordinaria amministrazione rispetto a tutto quello che avviene ogni giorno. E questo secondo me non è il messaggio che deve passare, perché non devono esserci per forza omicidi o femminicidi per denunciare uno stato di cose che peggiora ogni giorno di più. Vorrei che la mia testimonianza sia da sprone per cambiare le cose. Quante ragazze come me prendono ogni giorno la metropolitana da sole a Milano o in qualsiasi altra città? E quante subiscono violenza e stanno zitte? Premetto, non sono una ribelle, sono sempre stata una tipa tranquilla, ma dico che è evidente che c’è qualcosa che non va nella grande Milano, così come a Roma o in altre città, se a un balordo qualsiasi viene permesso di girare nudo e armato nella metropolitana e nessuno lo ferma».

Dell’aggressione di questa ragazza pescarese a Milano si parla nei post degli amici. Solo poche righe su qualche media. Eppure il racconto è drammatico. Ore 19,30 di un giorno lavorativo qualsiasi. Stefania sta tornando a casa, è ferma come tanti sulla banchina della metropolitana M2 Cadorna, direzione Gessate/Cologna, in attesa del treno. Lui si avvicina. È alterato, nudo, con un bastone in mano. Lei cerca di non guardarlo, di restare impassibile. Ma nel momento in cui gira lo sguardo, riceve il colpo violentissimo in pieno volto.

L’aggressore – un uomo di colore, di nazionalità non italiana – si scaglia su di lei con furia. La colpisce ripetutamente mentre i presenti restano immobili, nessuno interviene. Né passeggeri, né personale della sicurezza. Lei crolla a terra svenuta. Ma l’aggressione continua: l’uomo la solleva più volte e la sbatte a terra con forza. Solo dopo interminabili minuti, un passante – di cui non si conoscono le generalità – trova il coraggio di intervenire. Arrivano infine anche le forze dell’ordine. Stefania viene trasportata al Pronto soccorso con la sospetta frattura del setto nasale e numerosi traumi su tutto il corpo.

«Ricordo che ho fatto in tempo ad alzare la testa e che ho visto quella mazza che mi arrivava addosso, e ricordo lo sguardo di quell’uomo, la freddezza con cui mi stava per colpire. Sai quando ti dicono che la vita ti passa davanti? Dopo aver ripreso conoscenza intorno a me c’erano parecchie persone, e allora mi sono detta non sono morta». È stato accertato che poco prima che la 24enne pescarese fosse aggredita, lo stesso uomo aveva colpito un dipendente dell’azienda metropolitana e che aveva rincorso altre ragazze nella stazione. Nessuno lo aveva fermato.

«Ho saputo anche che è un pregiudicato per altri fatti di violenza simili e che non è poi stato arrestato per quanto aveva commesso, ma perché ha aggredito degli agenti», racconta Stefania dal suo appartamento. Il referto ha escluso la frattura al setto nasale, ma i lividi sparsi su tutto il corpo, le ferite, il collare al collo, i più banali movimenti lenti accompagnati dal dolore, parlano di quella violenza come se fosse oggi: «Ho gli incubi, sono sempre in tensione. Sono sotto consulenza psicologica, la metropolitana non la voglio più vedere».

E al dolore fisico si aggiunge un dolore più profondo: quello dell’invisibilità: «Se una donna viene aggredita da uno sconosciuto, questo non è forse un femminicidio? O serve necessariamente che l’aggressore sia un compagno, un ex, per meritare attenzione mediatica? Non voglio che la mia storia sia inutile perché non c’è stata la morte, è assurdo considerarla all'ordine del giorno. La mia vuole essere anche una denuncia verso chi non ci tutela: l’addetto dell’azienda metropolitana che è stato picchiato dopo di me dallo stesso uomo ha detto che non lo denuncerà neanche perché spaventato, e gli addetti alla sicurezza non possono intervenire perché non ne hanno il potere, ma devono avvisare le forze dell’ordine. Dove viviamo?».

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