Pescarese uccisa a New York: il killer condannato a 25 anni

15 Novembre 2012

Sentenza per l’omicidio della 36enne di Spoltore. Il giudice alla famiglia: nessun patteggiamento, è la pena massima

NEW YORK. La violenza brutale che ha spezzato la vita di Rita Morelli vale 25 anni di reclusione. In aula ieri, quando un giudice della Corte Suprema di New York ha letto la sentenza per l’assassino, Bakary Camara, c’era il fratello Giuseppe, che in tribunale ha letto a voce alta una commovente lettera scritta da papà Bruno, rimasto a Spoltore. C’era Giorgio, il cugino “americano” di Rita, e c’era Kenneth, un caro amico che lei chiamava affettuosamente “amore”. C’erano il manager del locale dove lei faceva la cameriera e la famiglia per la quale aveva fatto la baby sitter. Ma la presenza più straziante era quella di Fernando Vargas, il fidanzato messicano di Rita che il 23 novembre scorso aprì la porta di casa e si trovò davanti a una scena indescrivibile. Fernando era talmente scosso dall’emozione che non è neppure riuscito a leggere quello che aveva scritto in spagnolo. Ha dovuto affidarsi alla voce di un interprete che ha letto per suo conto parole d’amore nei confronti di Rita, uccisa a a 36 anni, e di odio verso l’imputato. Quest’ultimo, reo confesso, avrà moltissimo tempo per meditare su quante vite ha distrutto. Il giudice l’ha condannato alla massima sentenza permessa dalla legge per ognuno degli otto capi d’imputazione: 25 anni di carcere. La sentenza è frutto non già di un patteggiamento fra accusa e difesa, bensì di un accordo che deriva dalla confessione di Bakary prima del processo. In cambio dell’ammissione di colpevolezza, il giudice Merchan ha acconsentito a non emettere due sentenze consecutive. L’imputato rischiava 25 anni per omicidio di primo grado e altrettanti per assalto sessuale. Prima di cinquant’anni, Bakary non avrebbe potuto neppure sollevare l’ipotesi della libertà. A livello pratico, la sentenza è comunque severa: per il killer non si parla di uscire di prigione fino al 1° dicembre 2036. In quella data Camara, che allora avrà 76 anni, potrà fare richiesta che la sua detenzione venga riesaminata. Ma si tratta solo di una speranza perché a livello pratico i giudici del cosiddetto “Parole Board” non concedono mai la libertà a individui colpevoli di omicidi di primo grado. Per il quarantaduenne Bakary Camara è finita. Ieri, è tornato nel carcere di Rykers dove rimarrà ancora per qualche settimana prima che venga deciso il suo trasferimento definitivo. Finirà in un carcere di massima sicurezza a centinaia di chilometri a nord di New York, vicino al confine col Canada. L’imputato è entrato in aula poco prima di mezzogiorno. Alle sue spalle, quattro agenti di polizia si sono posizionati a ventaglio fra Bakary e i familiari di Rita. Erano pronti a intervenire nel caso che qualcuno, sfatto dal dolore e dalla rabbia, potesse lascarsi andare a un moto violento nei confronti di colui che aveva strappato la vita della ragazza. Tutti i presenti, invece, pur con occhi lucidi e lacrime, hanno partecipato con dignità e compostezza all’udienza durata poco più di mezz’ora. Il primo a prendere la parola è stato il fratello della vittima. «A Rita non mancava nulla. In Italia aveva una casa, la famiglia, un lavoro. Ma a trent’anni Rita ebbe il coraggio di lasciare tutte queste comodità per perseguire il suo sogno a New York», ha detto Giuseppe leggendo le parole del papà. «Ma si è trattato di coraggio, non di avventatezza, perché era innamorata dell’America e affascinata da New York». Subito dopo, ha preso la parola il cugino, che ha ricordato che la famiglia Morelli crede nei valori cattolici e non cercava la vendetta attraverso la pena capitale. «Per fortuna siamo a New York, non in Texas o in Florida», ha detto Giorgio, «Ma quando un crimine è così terribile, la giusta punizione è l’ergastolo».

E’ stata poi la volta di Fernando, la cui rabbia nei confronti dell’assassino era palese nella durezza delle parole scritte in spagnolo. «Ci fu un giorno che volevo suicidarmi con tranquillanti e birra perché questo figlio di... mi ha distrutto la vita», ha detto il fidanzato usando un linguaggio così forte da far sobbalzare il giudice, «Non auguro a nessuno di trovarsi nei miei panni. Ha ucciso la donna con cui avevo deciso di passare il resto della vita». Il giudice ha concluso rassicurando la famiglia che Rita non era stata né incauta né spregiudicata. «Non fece nulla perché le succedesse quanto le successe. Aveva programmato la sua vita, si impegnava nel suo lavoro. Proprio il tipo di persona che rende la nostra città meravigliosa».

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