Pescarese uccisa a New York Il killer dal carcere: "La amavo vorrei cancellare il delitto"

13 Gennaio 2013

Intervista esclusiva all’assassino di Rita Morelli, 36 anni di Spoltore: "Non era come le altre ragazze, mi dispiace per i genitori"

NEW YORK. Occhiali con montatura color tartaruga, baffetti e un pizzetto che in tribunale durante il processo non aveva. Bakary Camara ha 42 anni e li dimostra tutti. E’ alto un po’ più di un metro e 80, con una corporatura forte intorno agli 80 chili. Benché sia nato a New York, parla con forte accento straniero, l’accento tipico dei senegalesi. Lo incontro nel carcere di Rikers Island. Sono tre le domande principali a cui cerco risposta. Primo, vorrei capire l’esatta natura del suo rapporto con Rita Morelli, 36 anni, di Spoltore. Secondo: vorrei che mi dicesse perché la uccise. Terzo, se ci fu qualcosa che fece scatenare la sua furia omicida quella sera del 23 novembre 2011. Ma per arrivare a fare queste domande e cercare di ottenere risposte convincenti c’è bisogno di tempo. C’è bisogno di entrare in sintonia con lui, conquistare la sua fiducia e porre le domande poco per volta, per evitare che una domanda troppo brusca lo indisponga e che lui se ne vada da un istante all’altro. Non ha mai acconsentito a farsi intervistare. Un bel giorno, in carcere gli hanno detto «Camara, hai una visita». Neppure gli hanno annunciato il nome dello sconosciuto che chiedeva di incontrarlo. La nostra conversazione avrebbe potuto durare pochi minuti, o non cominciare neppure. E invece Bakary Camara, reo confesso dell’assassinio di Rita, mi parla per 65 minuti.

«Sono nato qui, ma la mia famiglia lasciò New York quando avevo quattro anni e ci trasferimmo a Parigi prima di andare in Senegal», racconta Bakary spiegando di sentirsi più senegalese che non americano. E mi dice che era questa una delle cose che piaceva a Rita. «Le piacevano molto le altre culture. Mi chiedeva spesso del Senegal e varie volte mi aveva chiesto di cucinarle piatti senegalesi. Ce n’è uno in particolare che le piaceva molto. E’ il piatto nazionale del Senegal. Lei in cambio mi cucinava piatti italiani. Cose di cui non ricordo il nome perché non è una cucina che conosco».

Dice che spesso mangiavano a casa di Rita, a Harlem, nello stesso appartamento dove avvenne l’orrendo delitto. Gli domando che cos’altro facessero quando si trovavano insieme. «Andavamo in giro per Soho, le piaceva Central Park, le piaceva la spiaggia. Alcune volte siamo andati in spiaggia nel Bronx. E le piaceva fare shopping. L’ho accompagnata spesso a comprare roba. Aveva una passione per le scarpe».

Sto per fare a Bakary la domanda difficile a cui da mesi cerco risposta. «Ma tu amavi Rita?», gli chiedo sapendo che la sua risposta, prevedibilmente affermativa, non è sufficiente a corroborare che fra loro ci fosse una relazione affettiva. «L’amavo molto. E’ l’unica donna che ho mai amato e l’unica che amerò», dice in tono animato ricordando con un sorriso affettuoso la prima volta che la conobbe alla boutique Seven For All Mankind. «Le hai mai detto che l’amavi?», incalzo io.

«Certo, glielo dicevo sempre», ribatte lui lasciandomi tuttavia ancora il dubbio che questo amore per Rita fosse non solo frutto della sua immaginazione, ma anche non ricambiato. «Ma lei te lo ha mai detto che ti amava?». Sto cercando di avvicinarmi alla verità. «Sì, eccome me l’ha detto». Cerco dettagli. Gli chiedo allora di ricordare una volta in cui Rita gli disse che lo amava. «Era andata in Italia. Ci telefonavamo spesso mentre era là e alla fine di ogni telefonata mi diceva “I love you”».

A questo punto, tento la domanda che, fatta al momento sbagliato, avrebbe potuto indispettirlo. «Ma allora, Bakary, la vostra era una relazione affettiva...», butto lì per cercare di stabilire una volta per tutte se quel terribile delitto rientrasse nella drammatica casistica dei femminicidi. La sua risposta non lascia dubbi. «We were sleeping together», mi risponde sgranando gli occhi come se avessi fatto la domanda più ovvia al mondo. Letteralmente significa dormire insieme, ma in inglese significa anche fare l’amore. E mi fa una precisazione. «Rita è stata la prima italiana che ho mai conosciuto. Così diversa dalle donne newyorkesi. Con lei, per esempio, non siamo andati a letto subito. Lei prima voleva che ci conoscessimo». Cerco di spostare la conversazione sulla fine del loro rapporto. «Non so perché Rita volle finire la nostra relazione. Non era successo nulla di particolare, né una lite né nulla. Ma un giorno mi disse che il nostro rapporto doveva finire perché lei doveva tornare in Italia. Le dissi che ero disposto a trasferirrmi, che sarei andato con lei, ma mi rispose che sarebbe stato impossibile per me vivere là senza sapere la lingua».

Ed è a questo punto che Camara mi dice qualcosa che mi fa rizzare le orecchie. «Ma non era vero. Rita mi mentì perché in Italia non ci tornò. Pensai subito che avesse un altro». Menzogna, bugia, sospetti. Incomincia a emergere l’immagine dell’innamorato che si sente tradito. Cominciano forse telefonate e magari addirittura pedinamenti, non arrendendosi davanti all’evidenza della fine del rapporto.

«Di che cosa stavate parlando in strada davanti a casa di Rita la sera del 23 novembre?», gli domando cercando di capire che cosa gli fosse passato per la testa la sera dell’omicidio. La risposta mi sorprende. «Le stavo raccontando del mio viaggio a Parigi. A ottobre ero stato lì per due settimane ed ero tornato da poco», dice Camara rivelando un altro dettaglio che fino a quel momento non era emerso. «Fu quella sera che lei mi disse che aveva un altro uomo», prosegue lui affermando che era la prima volta che apprendeva dell’esistenza di Fernando, l’uomo che Rita avrebbe voluto sposare. Il sospetto che ci fosse un altro ce l’aveva da tempo, ma la conferma era venuta solo allora. Pochi minuti dopo, con la scusa di usare la toilette a casa di Rita, Bakary Camara aveva compiuto il suo terribile atto di vendetta. «Che cosa vorresti che si sapesse di te?», gli chiedo in chiusura della nostra conversazione. «Vorrei che si sapesse che non sono una persona cattiva. Io Rita l’amavo. E se potessi tornare indietro nel tempo e disfare quello che feci quella sera del 23 novembre, lo farei. E vorrei dire ai suoi genitori: “I am sorry”. Mi dispiace».

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