«Processate la banda dei Tir»
Il pm Bellelli chiede il rinvio a giudizio per sei poliziotti
PESCARA. I poliziotti «infedeli» della banda dei tir devono essere processati. Con la firma sulla richiesta di rinvio a giudizio, il sostituto procuratore Giuseppe Bellelli ha chiesto il dibattimento per i sei agenti della polizia stradale di Pescara nord arrestati il 30 luglio scorso con l’accusa di aver chiesto tangenti ai camionisti.
Per la procura erano un gruppo di «taglieggiatori in uniforme» che costringeva gli autotrasportatori stranieri a pagare somme variabili, dai 20 ai 200 euro, per evitare multe, erano i «predatori» dei mezzi pesanti che transitavano sull’autostrada A 14, nel tratto tra Ortona e San Benedetto del Tronto.
Di questa «squadra» avrebbero fatto parte i sei uomini della Sottosezione di polizia stradale di Città Sant’Angelo finiti agli arresti domiciliari l’estate scorsa (e poi sospesi dal servizio) con l’accusa di associazione per delinquere aggravata finalizzata alla concussione e al rifiuto di atti d’ufficio: il vice sovrintendente Mario Plevani, 46 anni, di Pineto, considerato il «capo» della presunta organizzazione; Cristian Micaletti, 37 anni, residente a Francavilla, assistente; Marco Di Lorenzo, 39 anni, di Moscufo, assistente capo; l’assistente capo Carlo Voza, 39 anni, di Città Sant’Angelo; Gaetano Margiotta, 40 anni, residente a Pescara, assistente capo; Francesco Marulli, 43 anni, di Chieti, assistente (tutti tornati in seguito in libertà). È per loro che, sei mesi dopo, il pm chiede il processo. Esce invece dall’inchiesta il settimo agente indagato, l’assistente capo Franco Evangelista, 38 anni, di Collecorvino, che era finito nell’indagine con l’accusa di concussione: la sua posizione è stata stralciata e archiviata perché gli elementi in mano all’accusa sono stati ritenuti insufficienti.
A dare avvio alle indagini, all’inizio di marzo, era stato l’esposto di un camionista francese che aveva denunciato alla polizia stradale di Altedo (Bologna) la presunta tangente, raccontando che il 17 febbraio, nelle vicinanze di Pescara, era stato costretto a pagare 100 euro euro per evitare una contravvenzione di 350 euro per un eccesso di velocità che, in realtà, non c’era. Quella contestazione, dunque, secondo il gip Luca De Ninis, che ordinò gli arresti, sarebbe stata «abusiva e strumentale alla concussione».
Erano partite da quella denuncia, con l’identificazione dei due agenti indicati dal camionista, le indagini della squadra Mobile: per oltre un mese, gli investigatori guidati dal dirigente Nicola Zupo avevano ascoltato le voci dei colleghi «infedeli» grazie alle «cimici» collocate su due auto di servizio ma, soprattutto, avevano fermato sistematicamente gli autotrasportatori controllati dagli agenti della stradale appartenenti al turno sospetto, raccogliendo oltre trenta dichiarazioni. Racconti tutti simili: dopo essere stati fermati per avere infranto i limiti di velocità o verificato il superamento delle ore di guida, ai camionisti sarebbero state chieste cifre che andavano dai 20 ai 200 euro, denaro che sarebbe poi stato spartito a fine giornata, con «incassi» fino a 300 euro a testa al giorno.
«Tutti i componenti di uno specifico turno di servizio hanno scelto di esercitare sistematicamente la pubblica funzione da loro rivestita non allo scopo di curare l’interesse pubblico, bensì al solo scopo di estorcere denaro agli utenti della tratta autostradale di loro competenza» aveva scritto De Ninis nella sua ordinanza, parlando però di un gruppo isolato, all’interno degli uffici della Polstrada di Città Sant’Angelo.
Dopo essere rimasti in silenzio davanti al gip, i poliziotti sotto accusa avevano parlato il 4 agosto di fronte al pm Bellelli, ammettendo sostanzialmente i fatti materiali, ma giustificandosi dicendo di non essere stati loro a chiedere denaro ai camionisti stranieri: sarebbero stati invece gli stessi autotrasportatori a offrire denaro per evitare le multe, quasi fosse costume nei loro Paesi. Una strategia difensiva che mirava a far derubricare l’accusa di concussione in quella meno grave di corruzione. Con ipotesi di reato invariate, il pm ha chiesto invece il processo.
Per la procura erano un gruppo di «taglieggiatori in uniforme» che costringeva gli autotrasportatori stranieri a pagare somme variabili, dai 20 ai 200 euro, per evitare multe, erano i «predatori» dei mezzi pesanti che transitavano sull’autostrada A 14, nel tratto tra Ortona e San Benedetto del Tronto.
Di questa «squadra» avrebbero fatto parte i sei uomini della Sottosezione di polizia stradale di Città Sant’Angelo finiti agli arresti domiciliari l’estate scorsa (e poi sospesi dal servizio) con l’accusa di associazione per delinquere aggravata finalizzata alla concussione e al rifiuto di atti d’ufficio: il vice sovrintendente Mario Plevani, 46 anni, di Pineto, considerato il «capo» della presunta organizzazione; Cristian Micaletti, 37 anni, residente a Francavilla, assistente; Marco Di Lorenzo, 39 anni, di Moscufo, assistente capo; l’assistente capo Carlo Voza, 39 anni, di Città Sant’Angelo; Gaetano Margiotta, 40 anni, residente a Pescara, assistente capo; Francesco Marulli, 43 anni, di Chieti, assistente (tutti tornati in seguito in libertà). È per loro che, sei mesi dopo, il pm chiede il processo. Esce invece dall’inchiesta il settimo agente indagato, l’assistente capo Franco Evangelista, 38 anni, di Collecorvino, che era finito nell’indagine con l’accusa di concussione: la sua posizione è stata stralciata e archiviata perché gli elementi in mano all’accusa sono stati ritenuti insufficienti.
A dare avvio alle indagini, all’inizio di marzo, era stato l’esposto di un camionista francese che aveva denunciato alla polizia stradale di Altedo (Bologna) la presunta tangente, raccontando che il 17 febbraio, nelle vicinanze di Pescara, era stato costretto a pagare 100 euro euro per evitare una contravvenzione di 350 euro per un eccesso di velocità che, in realtà, non c’era. Quella contestazione, dunque, secondo il gip Luca De Ninis, che ordinò gli arresti, sarebbe stata «abusiva e strumentale alla concussione».
Erano partite da quella denuncia, con l’identificazione dei due agenti indicati dal camionista, le indagini della squadra Mobile: per oltre un mese, gli investigatori guidati dal dirigente Nicola Zupo avevano ascoltato le voci dei colleghi «infedeli» grazie alle «cimici» collocate su due auto di servizio ma, soprattutto, avevano fermato sistematicamente gli autotrasportatori controllati dagli agenti della stradale appartenenti al turno sospetto, raccogliendo oltre trenta dichiarazioni. Racconti tutti simili: dopo essere stati fermati per avere infranto i limiti di velocità o verificato il superamento delle ore di guida, ai camionisti sarebbero state chieste cifre che andavano dai 20 ai 200 euro, denaro che sarebbe poi stato spartito a fine giornata, con «incassi» fino a 300 euro a testa al giorno.
«Tutti i componenti di uno specifico turno di servizio hanno scelto di esercitare sistematicamente la pubblica funzione da loro rivestita non allo scopo di curare l’interesse pubblico, bensì al solo scopo di estorcere denaro agli utenti della tratta autostradale di loro competenza» aveva scritto De Ninis nella sua ordinanza, parlando però di un gruppo isolato, all’interno degli uffici della Polstrada di Città Sant’Angelo.
Dopo essere rimasti in silenzio davanti al gip, i poliziotti sotto accusa avevano parlato il 4 agosto di fronte al pm Bellelli, ammettendo sostanzialmente i fatti materiali, ma giustificandosi dicendo di non essere stati loro a chiedere denaro ai camionisti stranieri: sarebbero stati invece gli stessi autotrasportatori a offrire denaro per evitare le multe, quasi fosse costume nei loro Paesi. Una strategia difensiva che mirava a far derubricare l’accusa di concussione in quella meno grave di corruzione. Con ipotesi di reato invariate, il pm ha chiesto invece il processo.