Reato anche se il rifiuto è implicito
Il giudice di Chieti richiama una serie di sentenze della Cassazione
CHIETI. «Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idoneo a incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione». Lo scrive il giudice del tribunale di Chieti, Maurizio Sacco, analizzando il caso della donna di Ripa Teatina abusata in più occasioni dal marito, ora sottoposto alla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento alla vittima.
Per la contestazione di violenza sessuale, «nulla rileva, in senso contrario, l’esistenza di un rapporto di coppia tra le parti e la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, soprattutto quando, come nel caso in esame, l’indagato, per le percosse poste in essere nei confronti della vittima, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest’ultima al compimento di atti sessuali».
In questo senso, il giudice Sacco richiama cinque sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione tra il 2013 e il 2019. In più occasioni, negli ultimi due anni e mezzo, la donna residente a Ripa è stata picchiata dal marito, che la teneva sotto ricatto anche con un video in cui l’uomo – all’insaputa di lei – aveva ripreso un rapporto sessuale tra di loro. «In un tale contesto», rimarca il giudice, «è del tutto irrilevante, ai fini dell’integrazione del reato, la mancata opposizione da parte della donna di tutta la resistenza fisica possibile, soprattutto in un contesto ambientale tale da vanificare ogni possibile reazione della vittima».
Codice penale alla mano, per il reato di violenza sessuale si rischiano da sei a dodici anni di carcere; per i maltrattamenti in famiglia, invece, la pena prevista è da tre a sette anni; le lesioni personali, infine, sono punite con la reclusione da sei mesi a tre anni. Le condanne sono ancora più pesanti in presenza di eventuali aggravanti. (g.let.)
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