Rene sparito, omertà in corsiaquattro chirurghi non ricordano
Interrogati dalla polizia: «Non ricordiamo nulla del rene tolto a quella donna»
PESCARA. Non ricordano nulla di quel rene (il sinistro) asportato di nascosto a Costanza Vieste, la donna di 74 anni morta il 18 gennaio del 2007, quarantatrè giorni dopo l'intervento costato a Marco Basile, 50 anni, medico di Chirurgia uno dell'ospedale di Pescara, l'arresto per omicidio colposo, falso per soppressione e falso materiale in atto pubblico. La squadra mobile ha già interrogato l'èquipe che, il 6 dicembre del 2006, ha tolto l'organo alla donna poi deceduta.
Quel giorno in sala operatoria c'erano quattro chirurghi insieme con Marco Basile. La procura li definisce «reticenti». E annuncia altri avvisi di garanzia, dopo gli interrogatori di oggi dei medici che hanno scelto l'omertà.
Basile è da tre giorni agli arresti in casa. Anche lui è stato già sentito: dice di non aver tolto quel rene. Sulla paziente poi deceduta ha eseguito tre interventi: il primo (23 ottobre del 2006) per un tumore all'intestino; il secondo (27 novembre 2006) per un'infezione interna dovuta ai punti di sutura; il terzo (6 dicembre 2006) per la rimozione di un ematoma retroperitoneale.
Secondo la procura i punti di sutura nel primo intervento non erano applicati bene. Da qui l'infezione e la sequenza di tentativi di cancellare le prove di un errore professionale. Fino all'asportazione del rene.
E' il rene sinistro, espiantato all'insaputa della paziente, e della figlia Anna Maria Desimio, che poi ha presentato la denuncia, la chiave dell'inchiesta. Basile si difende affermando di non aver fatto sparire alcun rene. Dell'espianto non c'è traccia sul verbale dell'intervento chirurgico.
Allora chi lo ha tolto? L'inchiesta si trasforma in un giallo quando, nove mesi dopo l'autopsia, cioè il 6 ottobre del 2007, un tecnico della sala settoria, Mario Terrenzio, comunica al capo della mobile, Nicola Zupo, di aver rinvenuto «in un barattolo di formalina un rene sezionato che i consulenti, nominati per l'autopsia, avrebbero dimenticato». Ma il pm Gennaro Varone non crede a questa tesi. Cioè non crede all'innocenza di Basile e alla distrazione di chi ha eseguito l'autopsia.
Sul rene messo sotto formalina il gip Luca De Ninis disporrà un incidente probatorio: un esame del Dna per capire se si tratti dello stesso organo tolto alla paziente. Oppure di un «tentativo per screditare chi ha eseguito l'autopsia», scrive l'accusa.
La ricostruzione della procura, che ipotizza persino un tipo di omicidio non per semplice colpa, va quindi da tutt'altra parte: l'indagato, dopo aver commesso l'errore nel primo intervento su Costanza Vieste («deiscenza dei punti di sutura» che ha causato l'infezione), avrebbe cercato di cancellarne le tracce falsificando i verbali dei tre interventi. In particolare, quello relativo alla seconda operazione - 27 novembre 2006 - che sarebbe stato strappato e sostituito, a indagine in corso.
Quando l'8 maggio del 2007 la polizia chiede il verbale, si sente rispondere dal dirigente dell'Asl, Valterio Fortunato, che non è stato mai redatto «perché si è trattato di un intervento d'urgenza». Ma quel verbale ricompare sotto forma di un fax, ritenuto dal pm una copia «creata appositamente» da Basile, e inserita nella cartella da un misterioso complice. La squadra mobile, infatti, torna all'ospedale il 6 ottobre 2007 e verifica che il verbale è misteriosamente «ricomparso».
Ma sulla copia faxata c'è la dicitura «11 05 07 08:44 Dr. Basile». E c'è un secondo indizio contro il medico arrestato: la copia riporta il numero progressivo «221», identico a quello del successivo intervento eseguito da un altro chirurgo, il dottor Palmerio, su un'altra paziente, S.T..
Per la procura è l'errore più evidente commesso da Basile sul quale pesa un ultimo indizio recente: il 25 marzo scorso la polizia perquisisce lo studio del chirurgo. E trova proprio il verbale incriminato. Così Basile dovrà chiarire molte cose all'interrogatorio previsto per domani davanti al giudice per le indagini preliminari.
«Non può passare come un boia. E' un medico stimato. Finora ha eseguito più di 4mila interventi: bisogna dargli la possibilità di dichiarare la sua estraneità ai fatti», ribatte l'avvocato, Pietro Di Giacinto. E le intercettazioni ambientali? («Non c'è da agitarsi più di tanto perché non lo potranno mai dimostrare», è la frase che compromette il chirurgo). E l'organo sparito? «Non è stato lui a asportare il rene. Ma non sono d'accordo con i processi fatti sui giornali», taglia corto il difensore.
Quel giorno in sala operatoria c'erano quattro chirurghi insieme con Marco Basile. La procura li definisce «reticenti». E annuncia altri avvisi di garanzia, dopo gli interrogatori di oggi dei medici che hanno scelto l'omertà.
Basile è da tre giorni agli arresti in casa. Anche lui è stato già sentito: dice di non aver tolto quel rene. Sulla paziente poi deceduta ha eseguito tre interventi: il primo (23 ottobre del 2006) per un tumore all'intestino; il secondo (27 novembre 2006) per un'infezione interna dovuta ai punti di sutura; il terzo (6 dicembre 2006) per la rimozione di un ematoma retroperitoneale.
Secondo la procura i punti di sutura nel primo intervento non erano applicati bene. Da qui l'infezione e la sequenza di tentativi di cancellare le prove di un errore professionale. Fino all'asportazione del rene.
E' il rene sinistro, espiantato all'insaputa della paziente, e della figlia Anna Maria Desimio, che poi ha presentato la denuncia, la chiave dell'inchiesta. Basile si difende affermando di non aver fatto sparire alcun rene. Dell'espianto non c'è traccia sul verbale dell'intervento chirurgico.
Allora chi lo ha tolto? L'inchiesta si trasforma in un giallo quando, nove mesi dopo l'autopsia, cioè il 6 ottobre del 2007, un tecnico della sala settoria, Mario Terrenzio, comunica al capo della mobile, Nicola Zupo, di aver rinvenuto «in un barattolo di formalina un rene sezionato che i consulenti, nominati per l'autopsia, avrebbero dimenticato». Ma il pm Gennaro Varone non crede a questa tesi. Cioè non crede all'innocenza di Basile e alla distrazione di chi ha eseguito l'autopsia.
Sul rene messo sotto formalina il gip Luca De Ninis disporrà un incidente probatorio: un esame del Dna per capire se si tratti dello stesso organo tolto alla paziente. Oppure di un «tentativo per screditare chi ha eseguito l'autopsia», scrive l'accusa.
La ricostruzione della procura, che ipotizza persino un tipo di omicidio non per semplice colpa, va quindi da tutt'altra parte: l'indagato, dopo aver commesso l'errore nel primo intervento su Costanza Vieste («deiscenza dei punti di sutura» che ha causato l'infezione), avrebbe cercato di cancellarne le tracce falsificando i verbali dei tre interventi. In particolare, quello relativo alla seconda operazione - 27 novembre 2006 - che sarebbe stato strappato e sostituito, a indagine in corso.
Quando l'8 maggio del 2007 la polizia chiede il verbale, si sente rispondere dal dirigente dell'Asl, Valterio Fortunato, che non è stato mai redatto «perché si è trattato di un intervento d'urgenza». Ma quel verbale ricompare sotto forma di un fax, ritenuto dal pm una copia «creata appositamente» da Basile, e inserita nella cartella da un misterioso complice. La squadra mobile, infatti, torna all'ospedale il 6 ottobre 2007 e verifica che il verbale è misteriosamente «ricomparso».
Ma sulla copia faxata c'è la dicitura «11 05 07 08:44 Dr. Basile». E c'è un secondo indizio contro il medico arrestato: la copia riporta il numero progressivo «221», identico a quello del successivo intervento eseguito da un altro chirurgo, il dottor Palmerio, su un'altra paziente, S.T..
Per la procura è l'errore più evidente commesso da Basile sul quale pesa un ultimo indizio recente: il 25 marzo scorso la polizia perquisisce lo studio del chirurgo. E trova proprio il verbale incriminato. Così Basile dovrà chiarire molte cose all'interrogatorio previsto per domani davanti al giudice per le indagini preliminari.
«Non può passare come un boia. E' un medico stimato. Finora ha eseguito più di 4mila interventi: bisogna dargli la possibilità di dichiarare la sua estraneità ai fatti», ribatte l'avvocato, Pietro Di Giacinto. E le intercettazioni ambientali? («Non c'è da agitarsi più di tanto perché non lo potranno mai dimostrare», è la frase che compromette il chirurgo). E l'organo sparito? «Non è stato lui a asportare il rene. Ma non sono d'accordo con i processi fatti sui giornali», taglia corto il difensore.