I 29 MORTI PER LA VALANGA
Rigopiano, tre presidenti sotto inchiesta
Nel mirino della Procura di Pescara finiscono D’Alfonso, Chiodi, Del Turco, oltre ad assessori e dirigenti della Regione
PESCARA. L’inchiesta sale al terzo livello, quello politico. Tra i nuovi indagati per i 29 morti dell’hotel Rigopiano i presidenti di tre giunte regionali, Luciano D’Alfonso, Gianni Chiodi e Ottaviano Del Turco. La Procura ha concluso anche l’ultimo filone relativo alla mancata realizzazione della Carta di localizzazione dei pericoli da valanga e da ieri i carabinieri forestali, su disposizione del procuratore Massimiliano Serpi e del sostituto Andrea Papalia, stanno procedendo a comunicare gli avvisi di garanzia ai diretti interessati. Oltre ai presidenti di Regione, anche agli assessori regionali alla Protezione civile e a vari dirigenti che si sono susseguiti dal 2006 al 2017, fino a quando, cioè, c’è stata la valanga che il 18 gennaio dell’anno scorso ha raso al suolo l’hotel uccidendo 29 delle 40 persone presenti nella struttura tra ospiti e lavoratori.
I PRIMI A RICEVERLO. Mario Mazzocca, sottosegretario della giunta con delega alla Protezione civile, è stato tra i primi ieri a ricevere l’avviso. Anche da Daniela Stati, che aveva la stessa delega nell’ex giunta regionale, in serata arriva la conferma. In serata trapelano anche i nomi degli ex assessori Tommaso Ginoble e Gianfranco Giuliante. Ma l’elenco è lungo. Sono più di dieci i nuovi indagati che si sommano ai 23 già raggiunti da altrettanti avvisi di garanzia e portano a 35 gli indagati complessivi. Anche per gli ultimi della serie, i reati contestati, a vario titolo, sono di disastro e omicidio colposo plurimi.
TUTTI GLI ALTRI INDAGATI. Tra i reati ipotizzati dalla Procura, nei primi filoni dell’inchiesta su Rigopiano, ci sono quelli di omicidio e lesioni plurime colpose per tutta la catena dei soccorsi, dalla Prefettura al Comune di Farindola. Gli altri indagati sono Bruno Di Tommaso, l’amministratore che gestiva l’hotel, il presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, l’ex dirigente della Provincia Paolo D’Incecco, il responsabile del settore viabilità, Mauro Di Blasio, Enrico Colangeli, responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Farindola. Per la Regione, invece, erano già indagati il direttore della Protezione civile dal 2012 al 2014, Pierluigi Caputi, il dirigente del servizio prevenzione rischi della Protezione civile dal 2013, Carlo Giovani, il direttore del dipartimento politiche ambientali tra il 2014 e l’aprile 2015, Vittorio Di Biase, e il suo successore, Emidio Primavera, il responsabile del settore rischio valanghe dal 2009 al 2013 e dal 2014 al 2016, Sabatino Belmaggio, il consulente incaricato dall’hotel in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, Andrea Marrone, l’autore della perizia geologica allegata alla richiesta di permesso per la ristrutturazione dell’hotel, Luciano Sbaraglia, il co-titolare dell’hotel, Paolo Del Rosso, i sindaci di Farindola che si sono succeduti nel corso degli anni, Massimiliano Giancaterino, Antonio De Vico e Ilario Lacchetta, il direttore regionale del settore parchi e ambiente, Antonio Sorgi, Giuseppe Gatto, che realizzò la perizia allegata alla richiesta di intervento su tettoie e verande, il comandante della polizia provinciale, Giulio Honorati, il tecnico provinciale reperibile, Tino Chiappino, l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, il capo gabinetto della Prefettura, Leonardo Bianco, e la dirigente della sala operativa, Ida De Cesaris.
LA TERZA DENUNCIA. A imprimere l’accelerazione alle indagini la terza denuncia presentata, a ottobre del 2017, dai parenti delle vittime attraverso gli avvocati Massimo Manieri, Cristiana Valentini e Goffredo Tatozzi, che chiama in causa proprio l’ente Regione. «È dato ormai acquisto», si legge nell’atto, «che la condotta ascrivibile ad organi della Regione Abruzzo consiste nell’omessa redazione della Clpv (la Carta di localizzazione del pericolo valanghe), prevista dalla Legge regionale numero 47 del 1992, carta», scrivono i legali dei parenti delle vittime, «che, se realizzata, avrebbe concretamente impedito il disastro di Rigopiano».
E ancora: «Mettendo insieme le prove documentali e le dichiarazioni», scrivono gli stessi avvocati, «si forma un’immagine chiara: era il 2013 quando l’ingegner Caputi, in qualità di direttore del dipartimento lavori pubblici, verifica che negli anni ben poco era stato fatto per realizzare la Clpv, sicché decide di attivare gli uffici competenti». E l’iter parte. «Ma a questa improvvisa attivazione, che culmina con l’emanazione della delibera della giunta Chiodi 170 del 2014, segue il nulla», si legge nell’esposto. Il nulla, fino all’estate del 2017 quando è stata bandita la gara d’appalto.
L’URLO DEI PARENTI. Sull’onda dell’emotività arriviamo ai nuovi avvisi di garanzia dopo che a marzo i parenti delle vittime avevano incontrato il procuratore Serpi.
«Siamo venuti a conoscenza», aveva detto Gianluca Tanda, portavoce del comitato familiari vittime di Rigopiano, «che la difesa di uno degli indagati ha presentato una denuncia nei confronti del presidente della Regione come autorità massima di Protezione civile sui territori. Questa denuncia va ascoltata e ho chiesto più volte ai procuratori se ci stanno lavorando. Spero». Ieri è arrivata la risposta della Procura.
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