Rogo nelle case popolari, Cerasoli: “Ho 16 figli, non farei male ai bambini”
Massimiliano Cerasoli, interrrogato dal giudice Mariacarla Sacco, si è detto estraneo ai fatti del 20 novembre scorso, quando un rogo doloso ha distrutto le case popolari di Fontanelle. Poche ore prima i suoi familiari avevano ricevuto l’avviso di sfratto.
PESCARA. Nel faccia a faccia con il giudice Mariacarla Sacco, Massimiliano Cerasoli giura che non è lui il mandante del rogo doloso che, all’alba del 20 novembre scorso, ha distrutto le case popolari di Fontanelle a poche ore dallo sfratto dei suoi familiari: Cerasoli dice che non c’entra niente e «di essere completamente estraneo perché, essendo padre di 16 figli, mai avrebbe potuto avere qualsivoglia coinvolgimento nell’incendio che poteva mettere in pericolo la vita e l’incolumità dei bambini residenti nello stabile». Una sfilza di precedenti penali questo sì, ammette Cerasoli, ma mai avrebbe fatto del male ai bambini.
Quell’incendio è stato una strage sfiorata: in otto sono finiti al Pronto soccorso per intossicazione, compreso un neonato e quattro poliziotti che hanno svegliato i residenti nel palazzo invaso da fiamme e fumo.
Da sabato scorso, Cerasoli, 53 anni, è rinchiuso nel carcere di Madonna del Freddo, a Chieti: secondo l’accusa, sarebbe il mandante dell’incendio mentre l’esecutore materiale sarebbe il 50enne Marco Dottore, arrestato il 23 novembre e ancora nel carcere San Donato di Pescara. Ma Cerasoli, un curriculum giudiziario di primo livello, rigetta le accuse e vuole tornare libero: il suo avvocato, Melania Navelli, è pronta a presentare ricorso al Riesame.
Secondo la squadra mobile, secondo la procura e secondo il gip Sacco, «sussiste un quadro di sicura gravità indiziaria» nei confronti di Cerasoli e, per questo, non può essere libero ma deve restare in carcere: «È del tutto evidente il pericolo di reiterazione del reato, concreto e attuale». Non è così per Cerasoli: l’arrestato ritiene che contro lui non ci sia altro che una «sintesi logica» e neanche una prova. A decidere, nei prossimi giorni, sarà il tribunale del Riesame dell’Aquila.
Secondo l’accusa, il patto per dare fuoco alle case popolari di via Caduti per Servizio 15 sarebbe stato stretto durante un incontro al bar tra Cerasoli, Dottore e un’altra persona, tutti ripresi dalle telecamere di sorveglianza del locale: l’incontro risale allo stesso giorno dello sgombero, il 19 novembre tra le ore 18 e le 19. Un incendio per vendetta, sostiene l’accusa: l’«unico motivo immaginabile è l’interesse vendicativo di Cerasoli, il solo», dice l’ordinanza di arresto, «che abbia potuto indurre ad armare la mano dell’esecutore materiale Dottore, privo di interesse diretto». Nonostante l’incontro al bar, sia Cerasoli che Dottore hanno inizialmente negato di conoscersi: Cerasoli l’ha fatto nelle intercettazioni – «Hanno arrestat un, manc li cunosc» – mentre Dottore nell’interrogatorio di garanzia. Cerasoli poi corregge il tiro e, nel suo confronto con il gip, ammette «di conoscere Dottore per i periodi carcerari trascorsi in comune detenzione».
Gli agenti della squadra mobile di Gianluca Di Frischia, coordinati dal pm Gennaro Varone, ritengono che Cerasoli e persone a lui vicine abbiano cercato di depistare le indagini, subito dopo l’arresto di Dottore, facendo sparire dei telefonini: «Quel cellulare si era rotto e, probabilmente, in quanto non funzionante, era andato smarrito o dimenticato in qualche posto», risponde Cerasoli. E l’arrestato fa mettere a verbale anche «di non andare d’accordo con il figlio, specificando di non parlarci neppure, causa il carattere fumantino del figlio». Il figlio di Cerasoli si ritrova sotto accusa per il tentativo di rioccupare l’alloggio sgomberato: con una mola a disco, la sera dopo l’incendio sarebbe salito fino al quinto piano per rientrare nell’appartamento. Un’impresa fallita perché i residenti hanno chiamato la polizia.
Secondo il gip, Cerasoli è un personaggio «particolarmente violento» e dalla «spiccata pericolosità sociale» e questo «esclude la mera occasionalità delle condotte criminose»: per questo, a detta del giudice, deve restare in cella. Ora, il caso sarà al vaglio del Riesame.