Tagliate le intercettazioni
Da centomila a poche migliaia, passa la linea della procura
PESCARA. Alla fine di una mattinata con la tensione a mille, dove il pm lancia accuse di ostruzionismo e minaccia di abbandonare l’aula e i legali sbandierano il loro diritto a un giusto processo, la battaglia sulla trascrizione delle intercettazioni scontenta parte dei difensori e sposa la linea della procura. Perché il gup finisce per legittimare, almeno in questa fase, l’operato di quella polizia che invece alcuni legali volevano rimettere in discussione, e recide di netto il corposo carico di telefonate registrate per sei mesi all’insaputa dei protagonisti dell’inchiesta Ciclone su appalti e tangenti a Montesilvano.
LE TRASCRIZIONI E’ una decisione importante, che ridà parzialmente slancio a un processo partito con il piede sbagliato tra continuii rinvi per omesse notifiche, costate un anno di immobilismo. Dopo oltre un’ora di camera di consiglio, il gup Carla De Matteis produce un’ordinanza, non appellabile, con cui ammette nel fascicolo le 80 intercettazioni prodotte dal pm e riduce di fatto a poche migliaia le altre da trascrivere.
LA PERIZIA. Il giudice prende come riferimento di base il brogliaccio della polizia giudiziaria, i verbali nei quali è stato trascritto, sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate su ogni singola utenza. In quell’atto, le conversazioni private o comunque quelle fuori tema sono definite «inutili» o «irrilevanti». E’ stato questo l’oggetto dello scontro perché parte dei difensori aveva chiesto la trascrizione integrale delle conversazioni dei propri assistiti.
Là dove dunque il perito incaricato dal gup, Caterina Del Zingaro, incontrerà registrazioni ritenute dalla polizia inutilizzabili, dovrà scartarle subito. Per farlo, avrà due mesi, un tempo che difficilmente basterà considerando che ci sono intercettazioni ambientali che durano ciascuna anche 5-6 ore. E’ scontato che il perito avrà bisogno di una proroga il 12 gennaio, giorno in cui è stata fissata la prossima udienza alle 9. Non è escluso, peraltro, che al perito venga affiancato in corsa un secondo consulente. In ogni caso, si finirà a primavera inoltrata.
LO SCONTRO IN AULA La battaglia sulle intercettazioni, come previsto, è divampata subito. Perché la scrematura delle centomila e più telefonate registrate che i legali di ciascun indagato doveva effettuare entro il primo ottobre, in modo poi da consentire al gip di decidere quali ammettere, non è stata effettuata da tutti i legali. C’è chi ha “sparato” alto, chiedendo la trascrizione di cinquemila intercettazioni, un altro di oltre duemila; un altro ancora quelle della stanza in cui lavorava l’indagato, dimenticando forse che non vi erano mai state nascoste cimici: «Me se le leggono le carte gli indagati?», si è chiesto il pm, che ha preteso che i difensori motivassero ciascuna richiesta di trascrizione. Il clima si è infiammato.
LA DIFESA I difensori hanno sollevato una possibile violazione dei loro diritti: non sono state utilizzate molte conversazioni, hanno eccepito, la trascrizione di molte altre è differente tra le copie e gli originali, in molti casi il loro significato è distorto perché estrapolate dal contesto in cui sono state pronunciate, i costi proibitivi delle copie dei cd hanno reso impossibile acquisirle in toto. Sono le tesi sostenute sempre dall’ex sindaco Enzo Cantagallo.
IL PM VARONE La risposta del pm Gennaro Varone è stata sferzante: è tutta una manovra strumentale per allungare i tempi e far prescrivere il processo, come dimostra la richiesta di sbobinare persino ore e ore di silenzi, di fruscìì, di soli squilli di telefono. Il magistrato ha presentato una memoria al gip per evitare che al perito venisse consegnata una mole enorme di intercettazioni telefoniche e ambientali, che avrebbe bloccato l’udienza preliminare almeno 2 anni.
LA SPESA Considerando che i cd sono 331 e che la spesa complessiva ammonterebbe a 84mila euro, ecco perché Cantagallo ha trascorso un inverno ad ascoltare le frasi che lo accuserebbero. Ma sul punto il pm è andato giù duro: «Cantagallo non aveva i soldi per i cd? Però li aveva per comprare pianoforte, auto e vestiti», ha detto Varone, che poi - sentendosi interrotto di continuo dai legali - ha minacciato di uscire dall’aula.
Una volta trascritte le migliaia di intercettazioni, la discussione si sposterà sulla loro interpretazione, a partire proprio da quelle che riguardano Cantagallo, arrestato il 15 novembre 2006 per avere dato vita a una presunta organizzazione di scambi di appalti e favori tra ex politici, tecnici comunali e costruttori. Era la prima tappa dell’inchiesta Ciclone che spazzò via la giunta di centrosinistra: 36 indagati e 8 società coinvolte per reati, non uguali per tutti, che vanno dall’associazione per delinquere alla corruzione, dal falso alla calunnia. E’ parte civile il Comune di Montesilvano, che secondo la procura della Corte dei conti avrebbe subìto un danno d’immagine di almeno un milione di euro. La partita contabile si giocherà il 19 novembre, all’Aquila.
LE ACCUSE Il meccanismo ricostruito dalla procura e dalla squadra mobile diretta da Nicola Zupo prevedeva trucchi per premiare, con appalti senza gara, i big del mattone che si sdebitavano con elargizioni sotto forma di denaro, incarichi professionali remunerati, pacchetti di voti, contributi per attività e iniziative di tipo politico. Ai costruttori sarebbe stato permesso lo «sconto» degli oneri concessori. Secondo l’accusa, l’imprenditore di turno si impegnava a realizzare, per il Comune, opere di urbanizzazione (marciapiedi, parchi, luci) che poi, però, venivano spostate in altri luoghi e trasformate in appalti. Alla base del patto, la corruzione.
LE TRASCRIZIONI E’ una decisione importante, che ridà parzialmente slancio a un processo partito con il piede sbagliato tra continuii rinvi per omesse notifiche, costate un anno di immobilismo. Dopo oltre un’ora di camera di consiglio, il gup Carla De Matteis produce un’ordinanza, non appellabile, con cui ammette nel fascicolo le 80 intercettazioni prodotte dal pm e riduce di fatto a poche migliaia le altre da trascrivere.
LA PERIZIA. Il giudice prende come riferimento di base il brogliaccio della polizia giudiziaria, i verbali nei quali è stato trascritto, sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate su ogni singola utenza. In quell’atto, le conversazioni private o comunque quelle fuori tema sono definite «inutili» o «irrilevanti». E’ stato questo l’oggetto dello scontro perché parte dei difensori aveva chiesto la trascrizione integrale delle conversazioni dei propri assistiti.
Là dove dunque il perito incaricato dal gup, Caterina Del Zingaro, incontrerà registrazioni ritenute dalla polizia inutilizzabili, dovrà scartarle subito. Per farlo, avrà due mesi, un tempo che difficilmente basterà considerando che ci sono intercettazioni ambientali che durano ciascuna anche 5-6 ore. E’ scontato che il perito avrà bisogno di una proroga il 12 gennaio, giorno in cui è stata fissata la prossima udienza alle 9. Non è escluso, peraltro, che al perito venga affiancato in corsa un secondo consulente. In ogni caso, si finirà a primavera inoltrata.
LO SCONTRO IN AULA La battaglia sulle intercettazioni, come previsto, è divampata subito. Perché la scrematura delle centomila e più telefonate registrate che i legali di ciascun indagato doveva effettuare entro il primo ottobre, in modo poi da consentire al gip di decidere quali ammettere, non è stata effettuata da tutti i legali. C’è chi ha “sparato” alto, chiedendo la trascrizione di cinquemila intercettazioni, un altro di oltre duemila; un altro ancora quelle della stanza in cui lavorava l’indagato, dimenticando forse che non vi erano mai state nascoste cimici: «Me se le leggono le carte gli indagati?», si è chiesto il pm, che ha preteso che i difensori motivassero ciascuna richiesta di trascrizione. Il clima si è infiammato.
LA DIFESA I difensori hanno sollevato una possibile violazione dei loro diritti: non sono state utilizzate molte conversazioni, hanno eccepito, la trascrizione di molte altre è differente tra le copie e gli originali, in molti casi il loro significato è distorto perché estrapolate dal contesto in cui sono state pronunciate, i costi proibitivi delle copie dei cd hanno reso impossibile acquisirle in toto. Sono le tesi sostenute sempre dall’ex sindaco Enzo Cantagallo.
IL PM VARONE La risposta del pm Gennaro Varone è stata sferzante: è tutta una manovra strumentale per allungare i tempi e far prescrivere il processo, come dimostra la richiesta di sbobinare persino ore e ore di silenzi, di fruscìì, di soli squilli di telefono. Il magistrato ha presentato una memoria al gip per evitare che al perito venisse consegnata una mole enorme di intercettazioni telefoniche e ambientali, che avrebbe bloccato l’udienza preliminare almeno 2 anni.
LA SPESA Considerando che i cd sono 331 e che la spesa complessiva ammonterebbe a 84mila euro, ecco perché Cantagallo ha trascorso un inverno ad ascoltare le frasi che lo accuserebbero. Ma sul punto il pm è andato giù duro: «Cantagallo non aveva i soldi per i cd? Però li aveva per comprare pianoforte, auto e vestiti», ha detto Varone, che poi - sentendosi interrotto di continuo dai legali - ha minacciato di uscire dall’aula.
Una volta trascritte le migliaia di intercettazioni, la discussione si sposterà sulla loro interpretazione, a partire proprio da quelle che riguardano Cantagallo, arrestato il 15 novembre 2006 per avere dato vita a una presunta organizzazione di scambi di appalti e favori tra ex politici, tecnici comunali e costruttori. Era la prima tappa dell’inchiesta Ciclone che spazzò via la giunta di centrosinistra: 36 indagati e 8 società coinvolte per reati, non uguali per tutti, che vanno dall’associazione per delinquere alla corruzione, dal falso alla calunnia. E’ parte civile il Comune di Montesilvano, che secondo la procura della Corte dei conti avrebbe subìto un danno d’immagine di almeno un milione di euro. La partita contabile si giocherà il 19 novembre, all’Aquila.
LE ACCUSE Il meccanismo ricostruito dalla procura e dalla squadra mobile diretta da Nicola Zupo prevedeva trucchi per premiare, con appalti senza gara, i big del mattone che si sdebitavano con elargizioni sotto forma di denaro, incarichi professionali remunerati, pacchetti di voti, contributi per attività e iniziative di tipo politico. Ai costruttori sarebbe stato permesso lo «sconto» degli oneri concessori. Secondo l’accusa, l’imprenditore di turno si impegnava a realizzare, per il Comune, opere di urbanizzazione (marciapiedi, parchi, luci) che poi, però, venivano spostate in altri luoghi e trasformate in appalti. Alla base del patto, la corruzione.