Teramo, Daverio e il castello Della Monica: "Opera geniale rovinata da restauri errati"

18 Aprile 2014

Il critico d’arte visita il maniero neogotico: "Ideale sarebbe farne un museo della fantasia"

TERAMO. Lo ha chiamato “castelletto”, “castellotto”, ma non v’è dubbio che ne sia rimasto affascinato. Philippe Daverio, elegante col suo abbigliamento dandy fuori dal tempo e la sua conversazione tortuosamente affabulante, era ieri a Teramo per visitare su invito del Comune il castello Della Monica e elargire qualche suggerimento per il restauro e riuso del neogotico complesso.

Arrivati in limine vitae (e in campagna elettorale) i soldi per il recupero, quando ormai il degrado si è impossessato dell’imaginifica follia architettonica ideata dal pittore Gennaro Della Monica e gli interventi sbagliati della Soprintendenza hanno perfezionato gli effetti del tempo e dell’incuria, si tenta di correre ai ripari. Anche affidandosi all’illustre parere del professor Daverio (insegna nell’ateneo palermitano), famoso pure per i programmi di Raitre “Passepartout” e “Art’è”. Dopo la visita a quel che resta del castello (sul cui rovinoso abbandono si sono sgolati in vent’anni associazioni e comitati), Daverio ha parlato al pubblico che affollava la sala San Carlo del museo archeologico Francesco Savini.

Prima è stato proiettato un cortometraggio del filmaker teramano Marco Chiarini sul castello, restituito alla sua magia da un sapiente gioco di luci e inquadrature e, soprattutto, dalla “presenza” dello stesso artista (vestito da frate, com’era sua abitudine in tarda età). Nel video intervengono lo stesso Daverio e lo storico dell’arte Claudio Strinati. «Il castello Della Monica è un’opera geniale e eccentrica, una follia neogotica come ne sono state costruite tante altre in Italia e in Europa in quel periodo, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. È espressione di un gusto romantico trasversale a tutte le nazioni. Una imagerie europea neoantica e neomedioevale in cui Gennaro Della Monica è perfettamente inserito. Pensiamo alle ville del Garda, a Sintra in Portogallo, a Nymphenburg (ma forse il professore intendeva riferirsi a Neuschwanstein, sempre in Baviera, ndc). Cos’è l’hotel Excelsior di Venezia se non il vostro castelletto pompato all’estrogeno? Non è dunque un unicum. E non lo è nemmeno nel degrado. Il castello Della Monica si trova nelle stesse condizioni del castello del parco di Monza. Purtroppo l’Italia è unita dalla catastrofe».

Severo il giudizio di Daverio sugli interventi effettuati in passato dalla Soprintendenza: «Dopo aver demolito il castello ora dovrebbe ricostruirlo… Ha tolto i pavimenti, senza fare nemmeno le foto, e ora c’è il cemento. Ha messo buchi bianchi al posto del naso della Madonna o della fogliolina mancante. Quando vedo gli interventi della Soprintendenza sul castellotto mi vien voglia di scappare a Düsseldorf. Così di cattivo gusto, così fatti male». Secondo lo studioso solo dopo il risanamento del complesso si potrà pensare alla sua destinazione.

«Va fatto un restauro di qualità e non un semplice consolidamento. Certo, ogni restauro è un’elegante falsificazione. Si dovrà avere il coraggio di recuperare l’elemento positivo e eliminare l’elemento fiacco. Il castello può diventare un luogo di sperimentazione, inventando un concorso tra decoratori. Oggi i decoratori fanno trompe l’oeil fantastici. Per i prossimi "x" anni il sito dovrebbe vivere come luogo di auto-restauro, per provare a ridargli lo status di opera d’arte completa, come l’aveva pensata Della Monica. Bisognerà inoltre trovare un modo per isolare il castello dai brutti fabbricati circostanti, magari con un giardino che lo racchiuda in un’intimità. Il primo passo è il restauro dell’interno e dell’esterno. Tra cinque anni il passo successivo».

E poiché il castello è il prodotto della fantasia visionaria e colta di un artista, ideale passo successivo per Philippe Daverio sarebbe farne un museo della fantasia. «Potrebbe ospitare una volta l’anno micro mostre sulla fantasia, dal fumetto al design. E un paio di volte l’anno spettacoli bizzarri, in sintonia con lo spirito del luogo. Cercando insomma una funzione che corrisponda alla sua estetica». Poco estetistico e poco etico invece il ritardo di quaranta minuti di Daverio e organizzatori all’incontro con la stampa.

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