Terzo disabile ucciso: troppe famiglie sole per gestire la diversità

1 Aprile 2023

Felici Verna (Aptdh): «Si vive con la paura di non farcela soprattutto quando manca il supporto della comunità» 

L’AQUILA. Tre persone disabili uccise in soli tre mesi in Abruzzo, con il successivo suicidio o il tentato suicidio del familiare: numeri e circostanze che pongono interrogativi sul disagio crescente tra chi vive una situazione di disabilità in famiglia, come dimostrerebbe anche l’ultimo episodio. Alla base della strage compiuta all’Aquila dall’ex primario di Urologia di Teramo, Carlo Vicentini, ci sarebbero infatti proprio le gravi condizioni in cui versava il figlio più grande, 42enne, disabile e attaccato a un respiratore.
«Una tragedia che colpisce e interroga tutte le famiglie che vivono situazioni analoghe», rimarca Anna Rita Felici Verna, presidente dell’Associazione aquilana per la promozione e la tutela dei Diritti nell’handicap (Aptdh) che assiste le persone con disabilità nel suo centro diurno. Lei stessa ha un figlio di 52 anni che ha bisogno di costante assistenza.
«Sono situazioni delicate che bisogna affrontare e accettare», spiega Felici Verna, «ma questo può avvenire solo attraverso un preciso percorso psicologico che deve coinvolgere sia i familiari sia l’assistito. Non è stato facile per me convivere e accettare la disabilità di mio figlio. All’inizio mi sentivo costantemente giudicata e gli sguardi delle altre persone erano come lame per me. Poi ho cercato di fare un cammino personale senza il quale è facile essere preda di attacchi depressivi che, se trascurati, possono portare a tragedie».
A Ortona, lo scorso 29 gennaio, il settantenne Roberto Tatasciore si è ucciso dopo aver strangolato il fratello Antonio, disabile di 74 anni. Nel biglietto, acquisito dai carabinieri e scritto dal fratello minore, è emerso che Roberto non ce la faceva più nell’assistenza ad Antonio. E, inoltre, si prospettava oramai a giorni, la possibilità per quest’ultimo del ricovero in una Rsa, con Roberto che probabilmente non si voleva staccare da lui. I due, nessuno dei quali sposato, entrambi pensionati dopo aver lavorato rispettivamente in una ditta metalmeccanica e all'ufficio territoriale dell'agricoltura, avevano sempre vissuto insieme.
L’altro episodio risale al 13 febbraio quando un uomo di 64 anni, Francesco Rotunno, ha tentato il suicidio dopo avere strangolato la madre, Cesina Bambina Damiani, disabile 88enne, in una abitazione di Casoli, sempre in provincia di Chieti. L’omicidio è maturato in un contesto di disagio sociale. La donna viveva con il figlio in un alloggio popolare da cinque mesi: prima era stata ricoverata in una casa di riposo a Fara San Martino. A trovare il cadavere dell’anziana è stata la badante. La pensionata, che era anche cieca, era sul letto matrimoniale del figlio, con ai piedi un vestito funerario. Sul tavolo da pranzo invece un biglietto con la scritta “Scusa a tutti”, con una grafia riconducibile, secondo le ipotesi d’accusa, a quella del figlio. I carabinieri lo hanno trovato poco lontano da casa, sul ciglio della strada, con i polsi tagliati. L’uomo, dopo il ricovero di due giorni nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Lanciano, è stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario aggravato.
«A volte», riprende Felici Verna dell’associazione aquilana Diritti nell’handicap, «le condizioni sono particolarmente complicate in quanto alle difficoltà relative alla presenza di un disabile in casa si sovrappongono a condizioni di disagio economico che costringono le persone ad arrancare anche nel garantire assistenza. Si vive nella paura di non farcela e si è presi dallo sconforto specie se non si avverte il supporto della comunità. All’Aquila», prosegue, «sono stati stanziati anche di recente fondi a sostegno dell’assistenza ai disabili, ma mancano le strutture. A poco sono serviti i protocolli di intesa stipulati negli anni passati. Uno di questo, siglato dall’allora direttore generale Rinaldo Tordera, insieme al sindaco Pierluigi Biondi, avrebbe dovuto garantire due appartamenti in via Filomusi Guelfi, zona Villa Gioia, dove portare avanti le attività. Magari avviare dei progetti funzionali al Dopo di noi. Eppure, nulla di tutto questo abbiamo visto realizzato».
«La nostra associazione, comunque», conclude la presidente, «garantisce anche assistenza psicologica settimanale a tutte le persone che hanno bisogno di portare avanti un percorso di accettazione. Un’attività di prevenzione indispensabile a supporto di chi vive queste situazioni». (fab.i.)