CALCIO / L'INTERVISTA
Campitelli: Teramo, rifarei tutto
L’ex presidente a ruota libera: «Io e il calcio siamo puliti, è il contorno che è variegato. La serie B revocata una mazzata: nell’estate del 2015 ho perso lucidità e serenità, tant’è che Donnarumma è stato regalato alla Salernitana»
TERAMO. È la prima volta che si racconta Luciano Campitelli dopo aver ceduto il timone del Teramo a Franco Iachini. Dice di essersi disintossicato - dall’estate scorsa a oggi - di quella piacevole droga che l’ha assorbito per undici anni. Il calcio e il Teramo le sue passioni. Personaggio eccentrico e genuino. Generoso e istintivo. Il 64enne imprenditore dolciario non è tipo che passa inosservato, così come la gestione del Teramo caratterizzata da alti (tanti) e bassi (pochi ma devastanti). Dal Canzano al Teramo, dalla Promozione alla serie B, dai trionfi all’onta della promozione in B revocata dalla giustizia sportiva condita dalla lunga squalifica. Dice che rifarebbe tutto, perché «io sono una persona pulita».
Campitelli, le manca il calcio?
«Molto, è un pezzo importante della mia vita. Per chi ama veramente il calcio, come me, è difficile farne a meno. È come una droga e io in questi mesi mi sono disintossicato».
Addirittura.
«Io l’ho capito solo adesso. La società di calcio va intesa come un’azienda normale, calcolando entrate e uscite. Pianificando. Soprattutto, bisogna gestirla in prima persona. Se riesci a fare solo questo, hai possibilità di farlo anche bene; altrimenti puoi commettere degli errori. Daniele Sebastiani (presidente del Pescara, ndr) che fa quasi solo quello, lo fa bene. È bravo».
Pensa di poter rientrare nel calcio?
«Ci vorrebbe una situazione che ora non c’è. Non ci sono le condizioni. Oggi dico no».
Sta dando una mano al Roseto Basket.
«Conosco il basket dai tempi del Teramo. Sto dando una mano al Roseto, è vero, ma non è il mio mondo. Io vengo da 11 anni di calcio vissuti in prima linea…».
Quindi un suo coinvolgimento nel Roseto basket è da escludere?
«No, non è ipotizzabile».
Guardando indietro nell’album dei ricordi…
«Vedo il 90% di cose positive fatte dal sottoscritto».
Che cosa non rifarebbe?
«Starei più attento in alcune decisioni. Io sono una persona pulita; nata e cresciuta nella pulizia, etica e morale, più assoluta. Ed essendo pulito dentro non ho notato certe cose fuori dal nostro contesto. Diciamo che starei più attento alle sfumature, quelle che possono fare la differenza alla lunga. Il calcio è bello e pulito; è il contorno che è variegato».
Il momento più bello?
«Tutti i momenti sono stati belli, undici anni bellissimi. Dal primo all’ultimo giorno di presidenza. Il Teramo è stato la mia vita. Ho messo tutto me stesso in questa avventura».
Il momento più brutto?
«Beh, la vicenda legata a Savona-Teramo nel 2015. Se ci ripenso mi vengono i brividi. Mi è dispiaciuto per la gente. Non per me, per i tifosi. Io sarei andato via, non sarebbe stato un problema. Ma sono rimasto per la gente, per cercare di riprenderci quella serie B che ci hanno tolto».
Invece…
«Io ero pieno di energie per inseguire quel traguardo. Ma attorno a me il contesto era mutato. Erano cambiati i presupposti. Quella B revocata d’ufficio è stata una botta tremenda per tutti. Io ero positivo, ma attorno percepivo solo negatività. E senza compattezza non si va da nessuna parte. Se il Teramo è partito dalla Promozione ed è arrivato alla B lo deve all’unione d’intenti che ci ha caratterizzati. Dal 2015 in poi l’ambiente era diviso. Dilaniato. Io avevo i tifosi contro, com’era possibile andare avanti?».
Sì, ma che cosa è accaduto nella vicenda Savona-Teramo?
«C’è un procedimento penale in corso, a questa domanda risponderò al giudice quando sarà giunto il momento».
Tornando all’estate 2015.
«Una mazzata tra capo e collo. Non ci ho capito più nulla».
Donnarumma, ora al Brescia, alla Salernitana perché?
«L’abbiamo regalato alla Salernitana. Io non c’ero con la testa. Per risparmiare l’ingaggio oneroso Donnarumma è stato praticamente regalato alla Salernitana. Ma poi, comprando due punte, abbiamo speso gli stessi soldi, se non di più. Dopo quella vicenda ho perso lucidità d’analisi e commesso degli errori. Tra l’altro, in quei momenti mi è mancato Marcello Di Giuseppe, il ds, che si occupava di queste cose».
Ha cambiato molti allenatori, potendo tornare indietro chi rimetterebbe al suo posto?
«Rinaldo Cifaldi nell’anno della promozione dalla serie D alla C2. L’ho esonerato che era primo in classifica. Ma se non l’avessi fatto e fosse sfuggita la promozione non me lo sarei mai perdonato».
I giocatori?
«Tutt’ora ricevo messaggi e telefonate. Alcuni li incontro. A Teramo abbiamo fatto tanto, scritto un pezzo di storia. Sono passati fior di giocatori, io li ho trattati come figli, alternando il bastone alla carota. I calciatori sono dei bambinoni, hanno bisogno di essere stimolati e di insegnamenti per crescere. E io sono rimasto affezionato a loro, perché sono stati parte integrante degli anni più belli della mia vita».
Il Teramo più forte?
«Quello messo in piedi dopo Savona-Teramo. Quello successivo alla promozione in B. Però, non andò bene. Io sbagliai a tenere Vivarini, perché non era più motivato. Attorno alla squadra c’era negatività e alla lunga ha inciso sul rendimento. Però, andate a vedere: quei ragazzi oggi sono tra serie A e B».
Ha visto il Teramo dal vivo?
«L’ho visto solo in tv, una volta. No, allo stadio non sono mai andato».
Perché?
«Mi sarei aspettato un invito dal presidente o dal sindaco. Dopo undici anni in cui ho dato tutto me stesso pensavo di meritare un invito allo stadio».
A chi si sente di dire grazie?
«Al mio socio, Cimini; alla famiglia a cui ho tolto tanto; e poi a tutti indistintamente, perché tutti mi hanno voluto bene. Ci ho messo il cuore».
Quanti soldi ha messo nel calcio?
«Tanti, ma non rimpiango nulla. Il calcio mi ha fatto crescere, mi ha arricchito. Rifarei tutto».
La partita indimenticabile?
«L’altra sera ho rivisto in televisione Teramo-Sambenedettese di qualche anno fa, vincemmo 2-1. Da San Benedetto venne tanta gente, fu una bella soddisfazione».
Dava consigli agli allenatori?
«No, però qualcuno il sabato mi diceva chi giocava la domenica».
E lei?
«Io con chi avevo più confidenza dicevo la mia».
Ad esempio?
«A Vivarini, ad esempio, una volta dissi che Perrotta, messo a fare il terzino sinistro, soffriva. Tant’è che il pubblico lo beccava. Poi, lui è passato alla difesa a tre e abbiamo vinto il campionato. Ma Vivarini era uno di quelli che ti faceva parlare e poi agiva di testa sua».
Si sente di dare un consiglio a Iachini?
«No, gli ho parlato quando c’è stato il passaggio di consegne della società. Quello che avevo da dirgli, gliel’ho già detto. Gli auguro solo di prendere in mano la situazione, di agire di più in prima persona. Lui sa che cosa fare».
E lei?
«Ora mi sento sollevato. Ho riacquistato lucidità e serenità. Probabilmente, questa chiacchierata non l’avrei fatta fino a qualche mese fa. Non ero pronto. Ora sì, mi sono disintossicato».
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