Ciccone: "Mortirolo e Tour, che imprese. Io gregario di Nibali"

17 Agosto 2019

Il corridore teatino protagonista al Giro d'Italia e di Francia: "La maglia gialla, un sogno. Voglio competere ad alti livelli"

CHIETI. Dal Giro d’Italia al Tour de France. Dalla vittoria sul Mortirolo alla maglia gialla, indossata per due, lunghissimi, giorni. Mesi di fatiche, salite, chilometri e tante soddisfazioni, forse anche inaspettate. Con tutto l’Abruzzo a fare il tifo per lui. Ora Giulio Ciccone è tornato a casa e si gode la famiglia. Domani sera, a Brecciarola, frazione di Chieti dove il 24enne corridore teatino della Trek-Segafredo è nato e cresciuto, ci sarà una festa per celebrare le sue imprese. Quelle di un ragazzo innamorato della bici, un predestinato cresciuto nella Pedale Teate col mito di Pantani e diventato professionista nel 2016. Tre stagioni con la Bardiani-Csf, quest’anno il salto nel World Tour con la Trek che gli ha rinnovato il contratto fino al 2021. Il Giro, il Tour, aneddoti, curiosità e prossimi impegni: Ciccone si racconta al Centro a 360°.
Brecciarola in festa per Ciccone. È felice?
«È un motivo di orgoglio essere festeggiato dove sono nato e cresciuto. Sono felice di rivedere amici, parenti e persone che mi vogliono bene. Fare qualcosa di bello per una piccola frazione come Brecciarola mi riempie di orgoglio».
Qual è la prima cosa che fa quando torna in Abruzzo?
«Vado a mangiare gli arrosticini con i miei genitori (sorride, ndc). Vivo da cinque anni a Bergamo, ma appena posso torno a casa. Il legame con l’Abruzzo è sempre forte, nonostante la lontananza. La mia vera casa è a Brecciarola, non a Bergamo».
Ciccone maglia gialla al Tour. Se l’aspettava?
«No, ma ci speravo perché è il mio sogno fin da bambino. È stata un’emozione pazzesca. Il Tour è una dimensione grandissima. Sono stato ai vertici della classifica generale per due giorni. Ho toccato il cielo con un dito».
Peccato per la caduta nell’undicesima tappa Albi-Tolosa che ha condizionato il prosieguo della corsa.
«Dopo la caduta, ho passato delle giornate davvero complicate dove ho rischiato di tornare a casa, però pensando ad oggi ne è valsa davvero la pena non mollare».
Cosa le lascia l’esperienza del Tour?
«Il fatto di essermi affermato nella corsa a tappe più prestigiosa al mondo e di aver indossato la maglia gialla mi dà la consapevolezza che posso fare bene anche nei prossimi anni per compete a grandi livelli».
Lei è stato l’unico abruzzese della storia ad aver indossato la maglia gialla.
«È una soddisfazione enorme, ma in quei momenti non ti rendi conto di quello che stai facendo. Sei preso dall’ansia della gara. Ci ho messo giorni per metabolizzare realmente quello che ho fatto».

Se le dico Mortirolo, a cosa pensa?
«La salita dei miei sogni. Volevo vincere questa tappa perché era la mia preferita. Sapevo che ero tra i più competitivi quella settimana e sono partito deciso per andare in fuga a prendermi la tappa. Ce l’ho fatta, sfidando il freddo e gli inconvenienti».
Di che tipo?
«Sulla vetta del Mortirolo faceva molto freddo e pioveva. La mantellina che mi avevano passata non era quella della squadra, ma quella della maglia azzurra. Aveva le maniche più strette e non riuscivo a metterla. Così l’ho gettata. Poi mi hanno passato il giornale per ripararmi alla fine della salita. Mi sono riparato dall’acqua solo con quei fogli di giornale».
È stata più bella la prima vittoria di tappa al Giro a Sestola o quella sul Mortirolo?
«Ho provato le stesse sensazioni. Quella di Sestola nel 2016 è stata una vittoria inaspettata, arrivata dal nulla. È stata una botta di adrenalina enorme. Riaffermarmi quest’anno con una vittoria di tappa al Giro è stata la ciliegina sulla torta. Anche perché venivo da tanti problemi».
Tra questi i due interventi al cuore per eliminare la tachicardia.
«Sono stati momenti difficili. Me la sono fatta sotto per la paura. In quei momenti non pensi alla carriera, ma alla tua vita. Mi sono preso un bello spavento, ma per fortuna è tutto superato».
Per un corridore contano più le gambe o la testa?
«Tutti e due. Le gambe sono la prima cosa perché senza quelle non vai da nessuna parte. Ma se non sei abituato a soffrire, e quindi non hai la testa giusta, non vai lontano».
Da gennaio 2020 con la Trek-Segafredo ci sarà anche Vincenzo Nibali.
«Sono felicissimo di averlo come compagno di squadra. Vincenzo è ancora competitivo per le grandi corse ed è il migliore di tutti. Per me che ho 24 anni averlo come guida è una grandissima cosa che mi aiuterà a crescere ancora di più».
Com’è nata la passione per il ciclismo?
«Da subito, grazie a mio padre. All’inizio, in realtà, ho iniziato a giocare a calcio. Ho dato i primi calci al pallone al River 65, ma ho capito subito che il calcio non faceva per me. Con la bici, invece, andavo subito forte. Ero bravo, così ho deciso di dedicarmi completamente al ciclismo».
Si ricorda la prima gara?
«Certo, a Manoppello. Sono finito fuori pista e ho rischiato di farmi male».
La prima vittoria?
«Il trofeo Petritoli nel 2011».
È vero che quando era piccolo non vinceva mai?
«Sì, per anni non sono riuscito a vincere. Fino alla categoria Juniores. Mi piazzavo sempre in classifica, ma non vincevo mai. Ho sofferto a livello fisico perché ero gracile e ho sviluppato più tardi rispetto ai miei compagni che erano già grossi. Quando ho pareggiato a livello fisico con gli altri, ho iniziato a raccogliere i risultati».

Chi è stato il suo maestro?
«Roberto Marracino alla Pedale Teate. Vive a 500 metri da casa dei miei genitori. È stato il primo che mi ha messo in bici. Mi ha seguito negli anni e ancora adesso mi dà una mano negli allenamenti. Se sono arrivato fin qui è anche grazie a lui».
Quanti sacrifici ha dovuto fare?
«Tanti. Ho vissuto poco gli amici, ho rinunciato alle serate. Ho sempre messo la bici e le gare al primo posto».
Ha altre passioni oltre alla bici?
«I motori. Durante il Giro ho ricevuto un regalo inaspettato: una foto autografata da Valentino Rossi».
Chi è il suo idolo?
«Marco Pantani».
Quali sono i prossimi impegni?
«La prima settimana di settembre partirò con la squadra per il Canada per le due prove World Tour in Quebec e a Montreal».
La vedremo al Mondiale?
«No, perché il percorso non è adatto alle mie caratteristiche».
E al trofeo Matteotti?
«Ci sono buone possibilità di correrlo con la Nazionale».
Si sente pronto per vincere una corsa a tappe?
«Per vincere no, ma voglio lottare per la classifica generale».
Il suo sogno?
«Vincere il Giro».
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