Cimpiel, 80 anni da numero 1 «Ho lasciato il cuore da voi»

7 Luglio 2020

PESCARA. «Eh, questo Pescara ci fa soffrire». Sono parole all’ordine del giorno in città e non solo. Però, la voce arriva da Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, dove si è stabilito Paolo...

PESCARA. «Eh, questo Pescara ci fa soffrire». Sono parole all’ordine del giorno in città e non solo. Però, la voce arriva da Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, dove si è stabilito Paolo Cimpiel, oggi 80 anni, ma un passato tra i pali. Anche quelli del Pescara, nella stagione 1973-74, quella del ritorno in serie B dopo 25 anni firmata da Tom Rosati. Promozione datata 16 giugno 1974, arrivata con il successo di Latina. «Pescara è una città che mi è rimasta nel cuore, fino a qualche anno fa venivo ogni estate per trascorrere le vacanze. Oggi mi limito a seguire i biancazzurri che stanno alternando troppi alti e bassi».
È preso in mezzo dalla voglia di raccontare e quella di commentare il cammino attuale del Delfino. «A Pescara serve un allenatore di polso, un sergente di ferro, perché è una città in cui si sta molto bene e i calciatori sono portati a rilassarsi, a volte. Si gioca sulle punte, c’è tanto calore da parte dei tifosi». Detto questo apre l’album dei ricordi il portiere di Pasiano di Pordenone che a Pescara è arrivato da Taranto su espressa richiesta di Tom Rosati. In precedenza aveva anche difeso i pali del Bologna in serie A. «Mica ero convinto di scendere in serie C? C’erano Marinelli e Galeota, a quei tempi. Mi promisero mare e monti per farmi venire. Poi, però, mi hanno scaricato». Eh sì, perché a distanza di tanti anni Cimpiel non ha dimenticato. «Mi sono trovato divinamente, abitavo in via Regina Elena, in centro. In quella squadra c’erano Francesco Ciampoli, Zucchini, Prosperi e Capogna, tra gli altri. Bel campionato, la gente mi voleva bene. Stagione esaltante. Rimasi anche in serie B, l’anno successivo. Ero convinto di restare ancora. Ma la società fece di tutto per organizzare un’amichevole con la Juventus. Che accettò, ma in cambiò mandò in riva all’Adriatico Massimo Piloni. Io sarei rimasto anche come dodicesimo, ma Piloni non voleva ombre alle spalle. E così dopo qualche mese andai a Chieti, in C. Anzi, dovetti andare (stagione 1975-76, ndr) a Chieti. Ma sono stato appena una stagione, forse anche di meno. Non avevo digerito quell’addio».
Un’esperienza traumatica, tanto che decise di andare a giocare all’estero. «Volevo viaggiare, conoscere posti nuovi e giocare. Mi piaceva l’America. E così mi proposero di andare in Canada per vestire la maglia dei Toronto Metros-Croatia. Accettai. Giocai con il compianto Eusebio. Vincemmo il campionato nord americano. Andai allo sbaraglio, all’epoca non c’erano i procuratori. Dovetti restare fermo dopo quell’esperienza, perché non rimandarono il transfert in Italia dove volevo tornare. Dovetti aspettare mesi e mesi, perdendo tempo e denaro». All’inizio degli anni Ottanta ha chiuso la carriera a Osimo. Poi, in panchina. Ha anche allenato a Roseto. È stato secondo del compianto Eugenio Bersellini; è stato preparatore dei portieri nella compagnia atleti di Bologna dell’Esercito: tra i suoi allievi durante il servizio militare anche Sebastiano Rossi e Francesco Toldo.
«Il mio era un altro calcio. Ai miei tempi si giocava per passione, non solo per soldi. Si teneva alla maglietta che indossavi, vivevamo in un altro contesto. Oggi è un’esagerazione in tutto. Nemmeno mezza partita e subito titoloni sui giornali e procuratori che vanno a reclamare soldi. Il mio calcio era un’altra cosa». Dal passato all’attualità. «Ora bisogna stringere i denti e pensare a mettere al sicuro la salvezza. Poi, serviranno forze fresche per ridare entusiasmo all’ambiente».
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