29 marzo

Oggi, ma nel 1979, a Roma, in via Ticino, un gruppo di fuoco delle Brigate rosse, composto da sei terroristi destinati a rimanere per lo più anonimi, uccideva l’avvocato Italo Schettini, consigliere provinciale democristiano e costruttore edile di rilievo, sull’androne del suo studio legale, al civico 6, con tre colpi di pistola calibro 9, nell’ambito della campagna contro la Dc messa in atto dall’organizzazione di estrema sinistra col simbolo della stella a cinque punte.
L’omicidio, che avveniva davanti agli occhi della figlia del malcapitato, Enrichetta, di 14 anni, verrà, infatti, rivendicato come tale dalle Br benché giungerà una telefonata anche a nome della sigla Azione rivoluzionaria anarchica. La vittima, appartenente alla corrente andreottiana, era considerata vicina a Franco Evangelisti, sedeva in consiglio provinciale dal 1976, era già stata componente del direttivo regionale Dc, aveva precedenti per bancarotta fraudolenta anche se poi era sopraggiunto il condono, era originaria di Castrovillari, in provincia di Cosenza, classe 1921.
Schettini pagava con la vita (nella foto, particolare, il cadavere nel richiamo di prima pagina al pezzo di Liliana Madeo pubblicato sul quotidiano torinese “La Stampa”, del giorno dopo, 30 marzo di quel 1979) il desiderio dei brigatisti di inviare un segnale ben preciso ai vertici capitolini del partito scudocrociato. Ma l’agguato letale passava in secondo piano perché avveniva a ridosso dall’ammazzamento di Carmine “Mino” Pecorelli, proveniente da Sessano del Molise, in quel di Isernia, del 1928, risalente appena al 20 marzo precedente, consumatosi sempre nella Capitale, in via Orazio.
Un colpo dalla connotazione del giallo, quello volto a zittire definitivamente il controverso direttore dell’ancor più controversa agenzia di stampa “Osservatorio politico”, con annessa rivista omonima, che sarà destinato a restare avvolto nel mistero. Sia sul movente, che sul mandante, che sull’esecutore materiale. Nonostante le varie ipotesi che verranno formulate nel corso del lungo e tortuoso iter per tentare di arrivare ad una qualche forma di verità.
Tra le piste che verranno analizzate dagli esponenti della magistratura, delle forze dell’ordine e del giornalismo investigativo vi sarà anche quella del presunto coinvolgimento dell’abruzzese Antonio “Toni” Chichiarelli, da Rosciolo di Magliano dei Marsi, classe 1948, tra l’altro considerato il falsario del comunicato numero 7 del rapimento di Aldo Moro, quello del lago della Duchessa, anche legato alla banda della Magliana, che verrà freddato il 28 settembre 1984 nel quartiere romano Talenti.