Roberto D'Aversa, pescarese, allenatore del Parma in serie A

INTERVISTA / IL TECNICO PESCARESE DEL PARMA

D’Aversa: ho avuto paura, ripartire è un bel segnale 

«Tornare in campo può essere un modo per ridare fiducia all’Italia» 

PESCARA. Sono partiti in tre sulle panchine della serie A. Eusebio Di Francesco, alla Sampdoria, e Marco Giampaolo, al Milan, sono saltati entro il mese di ottobre. L’unico abruzzese rimasto in sella è il pescarese Roberto D’Aversa a Parma. Dove, un po’ alla volta, ha conquistato tutto e tutti. Due promozioni, dalla C alla A; dopodiché due stagioni in cui il progetto gialloblù si sta consolidando nella massima serie. Si sta affermando anche Roberto D’Aversa che ai risultati abbina organizzazione di gioco e valorizzazione dei giovani. A Parma in questi anni non è stato accolto con il favore del vento, ma alla lunga è riuscito a portare tutti dalla sua parte. Anche i più scettici. Testa dura il tecnico pescarese figlio di emigranti che durante questo periodo di emergenza coronavirus ha vissuto una quarantena a Parma prima di tornare a Pescara per riabbracciare i familiari. Un mese e mezzo con stati d’animo altalenanti con la prospettiva di un ritorno in campo tutto da definire.
D’Aversa, siamo rimasti all’8 marzo scorso e all’anticipo delle 12,30 Parma-Spal 0-1 bloccato dieci minuti prima del via e poi fatto giocare lo stesso.
«Ne parlo facendo una premessa doverosa. Quello che ci sta accadendo è un evento eccezionale a cui nessuno era preparato. Nemmeno il calcio. Quindi, tutto quello che si è verificato ci deve servire di lezione per il futuro. In primis la constatazione degli errori commessi».
Detto ciò.
«La percezione che si è avuta quel giorno è che gli interessi economici siano stati prevalenti sulla sicurezza della salute pubblica. Non si può arrivare alle 12,20, bloccare tutto e poi ordinare di giocare dopo un’ora. In quei frangenti sono cambiate le condizioni igienico-sanitarie? Non dico che si sia toccato il fondo, ma mi spiegate come si fa a far disputare una partita la domenica e il giorno dopo non si può uscire di casa? C’è qualcosa che non ha funzionato, ma, ripeto, dico questo senza voler fare polemica, nella speranza che ci sia di aiuto in futuro».
Ha avuto paura?
«Un po’ sì, perché avevamo dei ragazzi febbricitanti in squadra. Ci siamo allarmati, perché non era possibile fare tamponi. Ed eravamo a Parma, zona rossa. Quindi il cervello frulla. Fai pensieri brutti. E così sono stato due settimane in quarantena. Fortunatamente, non siamo stati colpiti da questo maledetto coronavirus, ma un po’ di paura c’è stata».
Due settimane da solo nella sua abitazione di Parma.
«Pesanti, perché sono stato senza famiglia e con il pensiero per i miei genitori che sono anziani. Insomma, le preoccupazioni di tutti».
Dicono che abbia imparato anche a cucinare.
«Non ho imparato, perché già da piccolo sapevo come sopravvivere ai fornelli. Diciamo che nella necessità ho aguzzato l’ingegno. Comunque in quei momenti apprezzi il lavoro delle signore. A casa non c’è un attimo di tregua. E poi ci sono i figli. Lode alla donne, grandi lavoratrici».
Durante la giornata che cosa fa?
«Al calcio per diverse settimane ho pensato davvero poco. Ultimamente, però, il cervello è ripartito a studiare. Ma per diverso tempo ho letto, sono stato al computer e mi sono goduto moglie e figli».
Si ripartirà, lei è d’accordo?
«Ovviamente, se si ripartirà ciò avverrà perché ci sono tutte le garanzie per la salute pubblica. Con questa premessa dico che potrebbe essere un segnale per il Paese. Un segnale di fiducia».
Come si ripartirà?
«Se davvero si ricomincerà a fare allenamento il 4 maggio allora per fine mese si potrà anche scendere in campo. Serviranno 3-4 settimane di preparazione. Ma sarà una ripresa particolare perché le partite saranno concentrate: tre a settimana. Sarà complesso e complicato».
Sui tagli agli stipendi il Parma ha già trovato un’intesa.
«È bastato parlarsi. Ognuno ha esposto le proprie ragioni e si è addivenuti a un accordo».
Il suo Kulusevski, già di proprietà della Juve, potrà diventare un top player?
«Ha tutto per diventarlo, in primis la testa sulle spalle. Al momento, la risposta non può che essere positiva».
Come vi siete accorti di questo svedese della Primavera dell’Atalanta?
«Personalmente, l’ho visto all’opera nella semifinale scudetto della passata stagione, in un Atalanta-Torino giocata al Tardini. Mi impressionò e ne parlai subito al ds Daniele Faggiano che, ovviamente, già lo conosceva e lo monitorava da tempo».
A Napoli la vittoria più bella di questa stagione?
«A Napoli ma anche contro la Roma. A livello di prestazione dico anche quella del Meazza contro l’Inter dove, però, abbiamo pareggiato. Certo, al San Paolo è arrivato un successo di prestigio, tra l’altro maturato nel finale e balza di più agli occhi».
Quando avete perso in casa contro la Lazio invece si è arrabbiato molto?
«In effetti, è così. Senza nulla togliere ai meriti della Lazio disputammo una grande prestazione e ci andava stretto anche il pareggio, figurarsi la sconfitta. Tanto più che è maturata in circostanze a noi particolarmente sfavorevoli».
Ottavo posto in classifica a pari punti con il Verona con 35 punti.
«Bene, anche perché si tratta di un bottino accompagnato da una buona qualità di gioco espressa dalla squadra».
Dopo la stagione del debutto, quella della conferma. Ora si sente allenatore di serie A?
«Non so rispondere. Posso dire che cerco di migliorarmi giorno dopo giorno. Lo faccio evolvendo quelle che sono le mie linee guida. Sono ambizioso, nel senso che non mi adagio sugli allori. Non mi accontento. Non guardo al passato, ma al presente e al futuro. Cerco di fare sempre meglio. Per riuscirci però bisogna avere accanto una grande società e un grande parco giocatori. E a Parma queste componenti ci sono tutte».
@roccocoletti1.

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