IL LIBRO
Da Verratti a Coulibaly, ansie e paure delle star
Il giornalista Alciato in Demoni racconta i tormenti dei divi del calcio
FOSSACESIA. “Demoni” è il frutto di un bagaglio di confidenze che Alessandro Alciato, 40enne giornalista di Sky Sport, racchiude in un libro. Anni e anni di frequentazioni e amicizie, di racconti e di storie che vanno oltre il calcio e la vita pubblica dei divi del pallone. Questa volta i campioni non parlano di gol o di trionfi, ma dei propri problemi. Quei tormenti che ne hanno caratterizzato la vita privata. E che Alciato chiama Demoni. Sono tredici i personaggi che fanno outing.
Alciato, come si fa a scovare i demoni all’interno di un campione di calcio?
«Intanto bisogna conoscerli e non fermarsi all’apparenza. Diciamo che occorre andare oltre l’immagine pubblica. Ancelotti è bravo a spiegare il concetto nella prefazione: il segreto è non fermarsi al calciatore, perché dietro di lui c’è un uomo come ognuno di noi».
Come è nata l’idea di scrivere questo libro?
«Proprio parlando con i giocatori, ho avuto la fortuna di entrare in confidenza con tanti di loro e parlando emergono i problemi, quelli di tutti i giorni che li rendono umani. Al quinto-sesto calciatore che ti racconta il suo demone è nata l’idea di scrivere un libro con un obiettivo: far capire che tutti hanno problemi e che tutti possono superarli. Come? Evitando di chiudersi in se stessi. Diciamo che questo libro vuole essere un esempio per chi soffre. Un aiuto».
Come si fa a convincere un personaggio pubblico a raccontarsi fino all’intimità?
«Sono tutte storie a lieto fine e quindi raccontarle potrebbe aiutare chi ha lo stesso problema e soffre in silenzio, lontano dai riflettori. Anche perché chi combatte contro determinati demoni lo fa in solitudine, si vergogna di parlarne. Guai a chiudersi in se stesso».
Chi altro avrebbe voluto inserire nel libro?
«No, non ho ricevuto alcun no. Tutti quelli interpellati hanno risposto affermativamente».
L’angoscia per il terremoto quanto ha inciso sulla crescita di Marco Verratti?
«Molto, nel libro racconta che dopo il sisma dell’Aquila, del 2009, ha dormito per più di una settimana in macchina per timore di altre scosse. Questa sofferenza l’ha reso più forte».
La storia dell’ex Pescara Coulibaly è la favola più bella?
«Tutte le storie sono vere e forti. Quella di Coulibaly ruota attorno al sogno di diventare calciatore in Europa. Per riuscirci ha dovuto percorrere una strada complicata, dai barconi alla clandestinità. Quando ha raccontato la sua vita, mi ha dato appuntamento all’aeroporto di Pescara, un luogo simbolo: significa che ora può muoversi liberamente senza dover scappare».
Buffon come ha sconfitto la depressione?
«Con un’azione introspettiva. Lo ha fatto trovando le forze dentro se stesso».
L’ex milanista Kaladze continua a vincere anche in politica, ma ha la cicatrice della morte del fratello.
«Ci sarà per sempre, perché perdere un fratello è pazzesco. Per anni, tra l’altro, non ha nemmeno saputo che fine avesse fatto il fratello».
La storia di stalking quanto ha inciso sulla carriera di Quagliarella?
«Tanto, perché all’inizio non conosceva il suo stalker e poi quando ha saputo il suo nome ha capito che era stato tradito da un amico. Per anni ha vissuto con un tarlo dentro senza poterlo raccontare perché c’era un’inchiesta in corso».
Mihajlovic è ancora segnato dalla guerra nei Balcani?
«Sì, perché è impossibile dimenticare. Nel libro rivela un episodio: quello che da bambino era il suo migliore amico durante la guerra è entrato nella casa dei genitori e ha puntato la pistola alla tempia della mamma di Sinisa».
Sacchi si è finalmente rilassato dopo lo stress da panchina?
«No, mai. La sua però è una storia particolare perché il suo demone si chiama stress, senza il quale non sarebbe mai potuto diventare Arrigo Sacchi e rivoluzionare il calcio italiano alla guida del Milan».
E il cuore matto di Cassano?
«In questo caso è emersa l’umanità del personaggio. Quando si è sentito male all’aeroporto, racconta nel libro, pensa di stare per morire e allora che fa? Prende il telefono e invia un sms alla moglie: “Penso che sia arrivata la mia ora…”. Pensava di avere pochi minuti di vita e ha scelto di dedicarli alla sua donna».
La lotta al razzismo ha inciso nella formazione del carattere di Balotelli?
«Totalmente, lo dice anche lui. E’ un bambino dal carattere particolare con la passione per il calcio. All’oratorio, nel Bresciano, gli dicevano: “Tu non puoi giocare perché sei nero...”. Nel tempo è diventato un simbolo della lotta al razzismo e ancora oggi riceve tante lettere in cui gli chiedono di non fermarsi. Di continuare a manifestare la sua ribellione al razzismo».
Sarebbe voluto diventare anche lei un divo del calcio?
«No, mai avuto questa velleità».
Ha già in mente il prossimo libro?
«No, ma mi sto godendo questo. Me lo sto anche rileggendo».
L’intervista che le ha dato maggiore soddisfazione?
«Quella a Zlatan Ibrahimovic per “I Signori del calcio”. Doveva durare venti minuti e, invece, l’abbiamo dovuta fermare noi dopo oltre tre ore. Si è messo a nudo, raccontandosi».
L’intervista che sogna di fare?
«Al Papa sullo sport. Sui valori che sprigiona».
@roccocoletti1.
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