IL RITRATTO
Dalla piazza di Pescina all’olimpo del calcio, ecco il mondo di Zauri / FOTOGALLERY
Le partite in strada, le cene con Peruzzi e l’amore per la sua terra. Il 41enne allenatore del Pescara raccontato da parenti e amici
INVIATO A PESCINA . “Il destino è un'invenzione della gente fiacca e rassegnata”. Nel 1978 moriva uno dei più grandi scrittori italiani del '900, pescinese e marsicano purosangue: il papà di Fontamara, Ignazio Silone. Dalla sua tomba, sul punto più alto del paese, con una croce di ferro appoggiata al muro e la vista del Fucino in lontananza, inizia il viaggio del Centro a Pescina, laddove è nato Luciano Zauri. L’allenatore del Pescara, ex calciatore di Lazio, Atalanta, Fiorentina e Sampdoria, ha riscritto il suo destino, non si è mai rassegnato, ha inseguito con caparbietà, da buon marsicano, i suoi sogni fino ad arrivare in Nazionale.
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Da piazza XXIV Maggio a Pescina fino all’olimpo del calcio italiano. La sua storia inizia così, dal piccolo centro che il 41enne allenatore del Pescara difende con orgoglio per le sue origini. «Per noi è motivo di vanto», dice Stefano Iulianella, il sindaco della cittadina di 4mila anime attraversata dal fiume Giovenco. «Zauri è sempre stato un tipo riservato e molto serio. Diverso dal prototipo di calciatore e allenatore che vediamo oggi in tv. È un ragazzo d’oro e mi ricordo bene che da ragazzino era un fenomeno con il pallone tra i piedi», continua il primo cittadino che due settimane fa ha premiato Zauri con una targa ricordo in occasione della visita del Pescara a Pescina alla vigilia della trasferta di Empoli.
Pescina la sua New York. «Ho ascoltato le sue parole durante una conferenza stampa: “Per me Pescina è come New York”. Ecco, Luciano Zauri è questo: un ragazzo che nonostante abbia lasciato il paese da bambino per andare a giocare nell’Atalanta, è sempre rimasto legato alle sue origini». Per Zauri, la sua piazza XXIV Maggio come Times Square, lo stadio Barbati come il Madison Square Garden. Manhattan la sua Pescina “nuova”, quella moderna nata dopo il terribile terremoto del gennaio 1915 che causò oltre 30mila morti nella Marsica. «Giocava in piazza, aveva a malapena 10 anni. Era il più bravo di tutti e si prendeva gioco anche di quelli più grandi di lui».
L’amico di infanzia Domenico Sessa osserva il display del suo smartphone. «Luciano è un caro ragazzo», racconta, «mi ha appena mandato un messaggio d’auguri visto che oggi è il mio compleanno. Io gli ho risposto: “Grazie, ringhio”. Lo chiamo così...», sorride Domenico Sessa, che è legato anche al fratello di Zauri, Stefano, che come il resto della famiglia vive a Bergamo.
Il viaggio a Bergamo. Sì, perché gli Zauri non vivono più a Pescina da quasi 30 anni, ovvero da quando Luciano, nel 1990, andò a Bergamo per inseguire il sogno rincorrendo un pallone. Con lui in quegli anni andarono via anche i genitori Enzo e Giovanna, oltre alla sorella Elisea. «Non vivono più qui da anni, ma tornano in estate e durante le feste», racconta il sindaco Iulianella, che apre al Centro le porte del paese. «Luciano ha avuto la testa per fare il calciatore ad alti livelli e adesso sta dimostrando di avere stoffa anche nel nuovo ruolo da allenatore», rimarca Domenico Sessa, che saluta prima di andare a brindare per il suo 45°compleanno. Zii e cugini di Luciano Zauri a Pescina ci sono, ma non sono semplici da rintracciare.
La casa in via Nenni. Dalla Statale 83, quella che costeggia l’ospedale, si scende a sinistra e si arriva in via Fiume e poi in via Pietro Nenni, il quartier generale degli Zauri.
La prima casa che si incontra sulla via è quella natale di Luciano e, poi, poco distante le due abitazioni degli zii paterni. «Siamo orgogliosi di Luciano», dice con un bel sorriso zia Elisa, che sull’uscio di porta ci invita ad entrare. «Era un bambino educato e tranquillo, ha sempre frequentato casa nostra», racconta con orgoglio la zia. «Vederlo in tv e sui giornali mi suscita sempre una certa emozione. Il ricordo più bello? Quando da calciatore è andato in nazionale. Ricordo che ci invitò a Coverciano, al centro tecnico federale, e passammo una giornata insieme a lui e al resto dell’Italia».
I primi calci. Il Luciano Zauri calciatore inizia la carriera nel Pescina Calcio dove allena lo zio Gianfranco, poi nel 1988, in paese c’è un raduno organizzato da Bixio Liberale, all'epoca osservatore dell'Atalanta. Il piccolo Luciano a bordocampo, si mise a palleggiare assieme al fratello Stefano, alla fine del provino, al quale Zauri non aveva partecipato, e quelli dell'Atalanta avevano scelto proprio lui. Aveva 10 anni e la madre Giovanna disse che non se ne parlava nemmeno. E così a Bergamo ci andò due anni dopo assieme a Mario Morfeo, fratello di Domenico che il viaggio da Pescina a Bergamo lo aveva già fatto qualche anno prima. Era il 1990, Luciano viveva in convitto, piangeva ogni giorno, sognava solo di tornare presto a casa dai genitori e dagli amici di Pescina. «Aveva una marcia in più degli altri», Gianfranco Zauri, lo zio, che è stato il suo primo allenatore. A fatica viene convinto a raccontare la storia di Luciano.
Dopo una lunga trattativa prova ad aprire l’album dei ricordi. «A 10 anni lo feci giocare contro quelli più grandi di lui di due anni. Era una partita contro il Celano, riuscimmo a buttarlo in campo nonostante non avesse i requisiti anagrafici. Andammo contro il regolamento, ma quel giorno Luciano segnò 4-5 gol e lasciò tutti a bocca aperta».
Zauri infatti nasce attaccante e poi fu Cesare Prandelli, nell’Atalanta Primavera, a cambiargli ruolo. «Prandelli stravedeva per lui, ecco perché poi, dopo le giovanili all’Atalanta lo volle a tutti i costi anche alla Fiorentina, nel 2008. «Luciano era il classico giocatore che tutti gli allenatori vorrebbero avere. Poteva giocare terzino, difensore centrale e mediano. Era un jolly».
Profumo d’azzurro. Gianfranco che da tempo non sente il suo nipote prediletto, ci tiene a precisare. «Conservo ancora la maglia dell’Italia, quando nel 2001, a Piacenza, Luciano fece l’esordio in Nazionale contro il Marocco. Che emozione!». Di poche parole quando calcava i campi di serie A da calciatore, riservato e mai sopra le righe, adesso, da allenatore del Pescara. «Spero che il Pescara vada in serie A», sorride il signor Antonio, mentre esce dal bar Fontamara, in piazza Mazzarino, a due passi dal municipio. «Zauri è il nostro fiore all’occhiello e speriamo di vederlo presto in serie A anche come allenatore».
La “Vecchia Officina”. In paese lo conoscono tutti e ha ancora dei legami forti, specie con il cugino Fabrizio, suo coetaneo, imprenditore che gestisce anche una pizzeria nel centro di Pescina. Con lui e con zio Gianfranco ha trascorso gran parte della sua infanzia e, specie quando giocava nella Lazio, squadra della quale è stato anche a lungo capitano, spesso faceva qualche blitz per delle cene. In estate lo si vedeva spesso al chiosco la “Vecchia Officina”, sulle rive del fiume Giovenco.
Lì Luciano diverse volte ha portato i suoi compagni di squadra della Lazio come Peruzzi, Pandev, Liverani, Fiore e tanti altri. Come lui amavano gli arrosticini e non c’era cosa migliore di andare a Pescina a mangiarli. Come le cene a base di pesce all’Aquila. Bastava una telefonata dei suoi amici storici e lui partiva da Roma per non mancare all’appuntamento quasi fisso al ristorante “da Pedro” all’Aquila. «Era ghiotto dei famosi scampi al sale grosso», raccontano i suoi amici. Ne mangiava in grandi quantità, ma senza esagerare perché lui, Zauri, in quegli anni era una delle bandiere della Lazio e non poteva permettersi troppi bagordi.
Silone e Mazzarino, le eccellenze letterarie, religiose e politiche, legate a Pescina. Zauri, senza dubbio, l’unico a portare in alto il nome del paese a livello sportivo. “Arrivederci da Pescina, la città di Silone e Mazzarino”, il cartello a pochi metri di distanza dal casello autostradale. Il paese anche di Luciano Zauri, che con la caparbietà del marsicano, ha cambiato il suo destino.
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