ARBITRO CHE PASSIONE

Di Paolo: il Var aiuta a sbagliare di meno 

Il fischietto avezzanese tra moviola in campo e aneddoti

AVEZZANO. Anche gli arbitri, come i calciatori, sono in vacanza.
Un riposo meritato anche nel caso di Aleandro Di Paolo, il 40enne direttore di gara marsicano stabilmente in serie B da anni. E’ una delle eccellenze del movimento abruzzese. Un arbitro di rendimento che nell’ultima stagione ha assaporato anche la gioia del debutto in serie A.
Di Paolo, perché si sceglie di fare l’arbitro?
«Nel mio caso ho iniziato per gioco. C’era la possibilità di avere un piccolo rimborso spesa e la tessera per entrare gratis allo stadio. Da qui l’idea di fare il corso. In sezione, ad Avezzano, andai con un amico. Lui, però, il corso non l’ha nemmeno cominciato, io invece... Prima era un gioco, poi è subentrata quella passione viscerale che mi porto ancora dietro dopo quasi un quarto di secolo. Ho iniziato che dovevo compiere 16 anni, era il 1994».
Quali sono state le rinunce? «Più che di rinunce parlerei di sacrifici. E mi riferisco alla costanza di allenarsi quasi quotidianamente, alla tenacia nel vedere tante gare in televisione per imparare aspetti tecnici che mi possono risultare utili. A volte - questo sì - viene sacrificata la famiglia, tra raduni, trasferte, riunioni tecniche e viaggi. Però, ad esempio, non mi è mai pesato andare a dormire presto il sabato sera per fare la partita il giorno dopo».
Si è mai cimentato con il calcio?
«Sì, prima di fare l’arbitro. Ho giocato nelle giovanili ad Avezzano, ero un terzino mancino».
Come ci si prepara ad arbitrare una partita?
«Da quando arriva la designazione c’è tempo per studiare le squadre che si vanno ad arbitrare. C’è un programma tecnologico per vedere le immagini delle partite. Si studia come giocano le squadre, se fanno fuorigioco in maniera frequente o schemi particolari su calcio da fermo. L’obiettivo è essere preparati a tutto in mezzo al campo. Così facendo, si abbatte il fattore sorpresa. E poi bisogna stare bene fisicamente e mentalmente. Anch’io sono un atleta a tutto tondo. E quando si va in campo c’è solo la partita. Nient’altro».
Qual è il suo modello di arbitro?
«In realtà non ho un modello. Ho sempre cercato di prendere qualcosa da quelli più bravi e adattare il tutto alle mie caratteristiche. Ognuno ha il suo stile».
E così è arrivato fino in serie A?
«Una grande gioia, ho diretto anche Inter-Udinese nell’ultima stagione. Lo devo anche a Stefano Farina (il designatore della serie B scomparso nei mesi scorsi, ndr) il mio padre arbitrale; lui mi ha promosso dalla Can Pro alla Can B. Ho sofferto tanto per la sua morte e, qualche giorno dopo, si è abbinata la soddisfazione per la serie A. Mi piace pensare che sia stato lui a volermi a San Siro in A. La sua scomparsa mi ha addolorato, è stata un trauma sul piano umano e professionale. Era un punto di riferimento».
Ricorda la prima partita diretta?
«Certo, ad Avezzano, campionato Esordienti allo stadio dei Pini. Era il gennaio del 1995».
Che cosa fa nella vita oltre che fischiare in mezzo al campo?
«Faccio l’impiegato in uno studio legale ad Avezzano».
Lei ha avuto modo di sperimentare il Var, la cosiddetta moviola in campo. Come funzionerà?
«E’ uno strumento che aiuta. La discrezionalità dell’arbitro rimane, però negli episodi più clamorosi avrà un supporto in più».
Con il Var mentalmente che cosa cambierà per un arbitro?
«Non ci saranno più gli addizionali di porta. Si tornerà ad arbitrare sapendo di essere soli con gli assistenti e il quarto uomo. L’arbitro dirigerà normalmente, probabilmente però avrà un paracadute su determinati episodi».
Ad esempio?
«Sui calci di rigore, se il fallo è dentro o fuori area; nei casi di condotta violenta che sfuggono agli occhi dell’arbitro; e poi saranno valutati i fuorigioco in situazione da gol. Tutto avverrà in pochi secondi».
Saranno eliminate le polemiche?
«Quelle rimarranno sempre».
Quando rivede le immagini in televisione qual è la sua reazione di fronte a un errore?
«Grande rabbia e rammarico per non aver fatto la cosa giusta. Cerco di capire il motivo per il quale ho sbagliato, provo ad analizzare l’episodio per evitare di commettere di nuovo l’errore».
Lei ha arbitrato il Pescara in diverse occasioni, sensazioni?
«Se è per questo ho fatto anche il derby Pescara-Virtus Lanciano, nel 2014, quello che si è concluso sul 2-2. Però, posso assicurare che quando si va in campo esiste solo la partita, non importa quali siano le squadre».
Aneddoti del passato?
«A Cologna, in Promozione, mi inseguirono con la macchina dopo la partita. Non ricordo se erano quelli della squadra di casa o di fuori. Ma mi vennero dietro sulla via del ritorno a casa per qualche chilometro».
Qualche episodio di fair play?
«In più occasioni, però solo su situazioni di fallo laterale o calci d’angolo».
In mezzo al campo come si pone?
«L’arbitro deve essere autorevole e non autoritario per avere il rispetto dei calciatori. Deve dare rispetto per avere rispetto».
Che cosa detesta?
«Mi danno fastidio le proteste eclatanti, quelle che nella mente dei calciatori dovrebbero servire per condizionare l’arbitro. E così non è, ve lo assicuro».
Il condizionamento psicologico esiste?
«No, nella maniera più assoluta».
Lei è tifoso del...
«Zero. Nasco da una famiglia che non ama il calcio, ora lo segue solo per quello che riguarda la sfera arbitrale. E i miei figli uno fa il karate e l’altro il nuoto».
Qual è lo stadio più bello in cui è stato?
«San Siro, un’emozione bellissima. E poi ricordo la finale play off di Lega Pro, Salernitana-Verona, di qualche anno fa. Fu bellissimo all’Arechi».
Il sogno nel cassetto?
«Continuare ad arbitrare il più a lungo possibile. A prescindere della categoria. Quando smetterò sarà dura… Magari, poi, cercherò di trasmettere la mia esperienza ai giovani arbitri».
C’è una crisi di vocazione?
«Da un punto di vista numerico non lo so. Però, rispetto a quando ho iniziato io è diverso. I ragazzi hanno tanti altri interessi. Magari non hanno lo spirito di sacrificio necessario. D’altronde, vai in campo a prendere parolacce. C’è bisogno di educare la gente alla cultura dello sport. Mi fa male vedere nei settori giovanili le persone in tribuna offendere l’arbitro. Perché?».
@roccocoletti1. ©RIPRODUZIONE RISERVATA