Giuseppe Rossi, figlio d’emigranti con radici abruzzesi: a Firenze la gara d’addio al calcio

22 Marzo 2025

Il papà Fernando è partito da Fraine (Alto Vastese) negli anni Sessanta per gli States e ha trasmesso al figlio la passione per il calcio. E Giuseppe, 38 anni,  attaccante, oggi dà l’addio all’attività calcistica: Firenze lo saluta e celebra il Pepito-day

Per anni è stato Pepito (soprannome coniato da Enzo Bearzot). Per anni l’Abruzzo lo ha adottato, anche se lui era italiano solo di passaporto e il vero abruzzese era il papà, il compianto Fernando, ultimo di tre figli partito per gli States negli anni Sessanta alla ricerca di fortuna. Da Fraine, paese dell’Alto Vastese che oggi conta circa 270 abitanti. Un posto dove d’inverno nevica spesso e volentieri ed è raggiungibile solo percorrendo strade dissestate. Per tutti è stato ed è Giuseppe Rossi. Oggi, a 38 anni, allo stadio Franchi di Firenze, alle 18, dà l’addio al calcio. La sua festa. Con tanti campioni nello stadio in cui è stato più osannato. Per il calcio italiano è stato una speranza, spesso spezzata da gravi infortuni che hanno condizionato la carriera. Un idolo. Vuoi per il cognome, vuoi per i gol. Da Parma a Manchester e ritorno. La Spagna con la maglia del Villarreal. Poi, la Fiorentina, la Nazionale. A Fraine c’è ancora la casa paterna, quella ereditata dal padre, quella in cui è stato nel giugno scorso quando è tornato per l’ultima volta in Abruzzo. Le radici. Papà abruzzese e mamma (Cleonide) molisana uniti in matrimonio negli States: due figli, di cui uno, Giuseppe per l’appunto, con la passione per il pallone. Una passione assecondata dal padre. Una passione viva anche d’estate quando la famiglia Rossi tornava in Italia per le vacanze e per rivedere amici e parenti a Fraine. Il piccolo Giuseppe era la mascotte del torneo dei bar. Una passione trasmessa dal papà, insegnante di italiano e spagnolo. Negli States. Ma è proprio grazie al pallone che a Clifton è diventato una sorta di leggenda. Fernando Rossi era il ‘coach’ alla Clifton High School, in New Jersey, e con il suo lavoro ha contribuito non solo a costruire squadre fortissime che tra la fine degli anni ’70 ed il 2001 gli hanno consentito di vincere molto a livello scolastico, ma, soprattutto, a realizzare una vera e propria struttura modello che ha spinto molti ragazzi ad avvicinarsi al pallone. Quello bianco e nero. E seguendo le orme di papà Fernando che Rossi è cresciuto e ha imparato l’arte del calcio. In Italia. Così bene che nel 2000 lo ha preso il Parma. Nel settore giovanile gialloblù si è imposto come un pezzo pregiato. Mamma e sorella (Tina) negli States e papà e figlio a Parma. Lui, il piccolo Giuseppe, soffre di nostalgia, ma non vuole deludere il papà e stringe i denti. E in un periodo storico nel quale i club inglesi hanno iniziato a pescare nei vivai nostrani, eccolo spiccare il volo per la Premier League. A puntare su di lui è il Manchester United, ovvero la compagine guidata da colui che verrà ricordato come uno dei più grandi allenatori di ogni tempo, ma che andrebbe anche menzionato tra i più grandi talent scout di sempre: sir Alex Ferguson. Il Diavolo Rosso. Va via a parametro zero, percepisce un bell’ingaggio di quelli che cominciano a ripagare dei sacrifici. Rossi a Manchester cresce osservando Giggs, Van Nistelrooy e un ragazzo appena un paio di anni più grande di lui, ma del quale già si parla come di un talento destinato a riscrivere molti record, un certo… Cristiano Ronaldo, e lega con un altro ragazzo di belle speranze che in futuro farà parlare di sé: Gerard Piqué. Lo United studia per lui un percorso: prestito per farsi le ossa e poi ritorno alla base. Passa quindi al Newcastle dove le cose non andranno benissimo, tanto che quando a metà stagione, nel gennaio del 2006 arriva una chiamata da Parma, papà Fernando consiglia a Giuseppe di accettare al volo. Il ritorno. Squadra nelle ultime posizioni, ma Claudio Ranieri in panchina e Rossi in campo a suon di gol consentono al Parma di conquistare una salvezza insperata. Ormai Giuseppe Rossi è un calciatore, una promessa. Gli arrivano offerte da tutti i posti, anche per la Nazionale. Ma lui sceglie l’Italia senza esitazioni e papà Fernando è orgoglioso vedere il figlio in maglia azzurra. Dal Manchester United al Villarreal, gol e buone prestazioni, a tal punto che lo vorrebbe il Barcellona. Il Villarreal fa muro e il Barça va su Alexis Sanchez. Intanto, spopola nell’under 21 ed entra nel giro della Nazionale maggiore: l’11 ottobre 2011 a Pescara in Italia-Irlanda 3-0 il ct Prandelli regala la passerella al guardiese Morgan De Sanctis tra i pali, ma non a Pepito Rossi in panchina. In tribuna ci sono i paesani di Fraine arrivati in pullman. Tutti pazzi per Pepito che tutti considerano un abruzzese acquisito. Il sogno spezzato. Il 26 ottobre 2011, però, nel corso di un match al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid, si procura la rottura del legamento crociato del ginocchio destro. Il giorno dopo è già in sala operatoria per l’intervento, la prognosi intanto è quella solita per infortuni di questo genere: sei mesi di stop. Rossi affronta la cosa con la maturità che l’ha sempre contraddistinto e rientra nei tempi previsti ma, il successivo 13 aprile 2012, in allenamento riporta un’altra lesione al legamento crociato anteriore del ginocchio precedentemente infortunato. Servono altri quattro mesi per tornare a giocare, ma ad ottobre si renderà necessario un altro intervento che allungherà lo stop di altri sei mesi. Il mondo si è ribaltato e intanto il Villarreal, senza il suo fenomeno, è retrocesso in Segunda División mettendo così fine nel modo più triste possibile al periodo più bello della sua lunga storia. Un periodaccio. Lui, però, ha carattere. Sa reagire. Mai una polemica, non si piange addosso. Viola. La Fiorentina lo riporta in Italia, pagando 16 milioni di euro. Il papà Fernando, l’uomo al quale deve tutto, intanto è morto per un male incurabile, ma Rossi trova in Firenze una città desiderosa di adottarlo. Sceglie il numero 49, l’anno di nascita del papà, l’uomo al quale si rivolge quando segna e rivolge le braccia al cielo. Debutta con la maglia viola nell'ultima giornata del campionato, il 19 maggio 2016, subentrando al 64' al posto di Juan Cuadrado nella vittoriosa trasferta contro il Pescara, conclusasi sull'1-5. Diventa un idolo con i tre gol alla Juve. Alla vigilia del Mondiale 2014 è tra gli azzurrabili, ma il ct Prandelli non crede nel recupero dall’ennesimo infortunio e lo lascia a casa. Troppi infortuni, grande talento, ma gracile e sfortunato. Cerca di rialzarsi con Levante, Celta Vigo e Genoa (torna in rete in serie A dopo 1.449 giorni). Qualche gol, ma ormai è nella fase discendente della carriera. Nel gennaio 2019, tornerà al Manchester United , per tenersi in forma in attesa di trovare una nuova squadra e proprio con i Red Devils , si toglierà una sorta di ultima grande soddisfazione. E’ un giorno d’allenamento come gli altri quando sotto lo sguardo di sir Alex Ferguson segna un gol fantastico. Un’esperienza con il Real Salt Lake, negli States. Poi la Spal. Infine ha appeso le scarpe al chiodo. Oggi vive negli States e dall'unione con Jenna Lynn sono nate due figlie. Oggi Firenze lo saluta e celebrerà il Pepito-day. ©RIPRODUZIONE RISERVATA