Inutile fiera del gol Il Chieti retrocede in uno stadio vuoto
Il Foggia rimonta due volte (da 0-2 e da 2-4) ma i neroverdi non sarebbero andati ai play out nemmeno vincendo
CHIETI. La condanna arriva alle ore 16:57: il Chieti saluta la Lega Pro ed è retrocesso in serie D. Nessun miracolo sportivo, tutto secondo copione: la squadra di Di Meo non riesce a battere nemmeno il Foggia (finisce 4-4 con i rossoneri che rimontano due gol nel finale), ma le vittorie di Arzanese, Aversa Normanna, Tuttocuoio e Sorrento, che vanno ai play out, avrebbero reso vana la vittoria neroverde. E’ l’ultimo atto di una stagione fallimentare per il Chieti. La società ha commesso errori nell’anno più importante e si è affidata a persone sbagliate: chissà cosa sarebbe successo se Pino Di Meo non fosse mai andato via e se a gennaio la squadra fosse stata rinforzata con un acquisto per reparto. Ma è inutile rimuginare su quello che poteva essere e non è stato. La cruda verità è una sola: il Chieti, dopo quattro anni di professionismo, torna nell’inferno dei dilettanti. E lo fa in un Angelini deserto, con appena 32 spettatori presenti in curva Volpi e un centinaio in tribuna: è questa, forse, la sconfitta più dolorosa per giocatori e società, ripudiati e contestati dalla tifoseria.
E’ fuori, di fronte al bar dello stadio, che si gioca la vera partita davanti agli occhi vigili delle forze dell’ordine, una cinquantina tra uomini della Digos e rinforzi dal reparto mobile di Napoli e dal battaglione di carabinieri di Mestre. Gli ultrà del Chieti sventolano le loro bandiere ed espongono due striscioni. Il primo: “Noi un vanto, voi un pianto. Via tutti”. Il secondo: “Mai pronti per la battaglia, indegni per questa maglia”. Entrambi firmati dalla curva Volpi, la stessa che il 7 maggio del 2006, giorno dell’ultima retrocessione nei dilettanti poi seguita dal fallimento, si fece oltre mille chilometri per raggiungere l’Arena Garibaldi di Pisa e dimostrare l’attaccamento ai colori neroverdi, nonostante la squadra fosse già retrocessa da diverse giornate. Ma stavolta è diverso: la Volpi diserta lo stadio e protesta perché esasperata da annate senza ambizioni. «Chieti siamo noi», urlano gli ultrà mentre in campo va in scena un’altra prova indecente. La squadra, arrivata allo stadio scortata dalla polizia, viene accolta da urla e insulti, ma non si andrà oltre questi e il questore Filippo Barboso a fine gara dirà: «Voglio ringraziare i tifosi, si sono comportati in modo molto civile».
Si gioca in un silenzio assordante, spezzato solo al 10’ dal lancio di un petardo all’esterno dello stadio. Di Meo è seduto in panchina e non si alza mai. Non dice una parola: rimane impassibile e assiste alla disfatta. Il Chieti va in vantaggio al 20’ con Berardino e due minuti dopo raddoppia con un calcio di rigore trasformato da Guidone (fallo di Sicurella su Cinque), ma a due dal termine della prima frazione il Foggia accorcia con Filosa. Nella ripresa subito il pari di Venitucci, poi Berardino porta i suoi sul 4-2 realizzando una tripletta (con dedica al padre scomparso di recente). Robertiello para a Cavallaro il quinto rigore del campionato. Ma negli ultimi due minuti Richella e lo stesso Cavallaro firmano il beffardo 4-4. La beffa più atroce, però, arriva al triplice fischio finale: il Chieti saluta la Lega Pro. La speranza, per i tifosi, è che si tratti solo di un arrivederci.
Giammarco Giardini
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