Jasmine Di Felice, campionessa di boxe: dalla violenza a casa fino al titolo europeo

Sul ring come nella vita mai arrendersi: c’è sempre una possibilità per risalire la china. Dopo il trionfo nei Super Piuma: «La cintura EBU Silver è il premio alla mia tenacia».
PESCARA. Una storia di riscatto e di forza di volontà. Il titolo europeo EBU Silver dei Super Piuma conquistato sabato sera a Pescara da Jasmine Di Felice nasconde una storia d’amore finita male. Violenza domestica. E, soprattutto, la forza di tirarsi fuori dai guai e ricominciare. «Vorrei che la mia storia fosse di esempio per chi soffre», dice la 30enne campionessa. Pugni sul ring, carezze fuori, ad esempio alla figlia Desirée, diventata ragione di vita e di riscatto sociale. A 30 anni è sul tetto d’Europa, per nulla intenzionata a mollare quel traguardo che si è conquistato con tanti sacrifici, in palestra e fuori.
Jasmine, che cosa le ha lasciato la serata di sabato?
«A parte il calore di chi mi ha sostenuto, un pubblico fantastico, mi ha fatto capire che bisogna spingere proprio quando non ce la fai più. Io ero esausta. E’ stata dura, durissima, All’angolo ho avuto un crollo, Simone Di Marco, il mio tecnico, è stato fondamentale. Mi ha aiutato e mi ha risollevata. Lei (l’inglese Katie Smith, ndr) era una belva, non ce la facevo più. “Devo reagire”, mi dicevo. Ho dovuto tirare fuori il cuore».
Che cosa spinge una donna a tirare pugni?
«Noi siamo diversi dagli uomini, la competizione tra donne è la battaglia più alta che ci sia. Il massimo. Per me il pugilato è una rivalsa dopo anni di buio. Mi dà forza interiore. Diciamo che il ring è il mio habitat naturale».
Anni di buio, a che cosa si riferisce?
«Ho avuto una storia particolare. Ho incontrato un uomo che è il padre di mia figlia e che mi ha fatto soffrire. Non ho ascoltato i consigli di mio padre. Ho fatto a testa mia. Ho lasciato il pugilato, mi sono quasi annientata. Ho visto alcool e droga. Calci, schiaffi e pugni. Ho visto l’inferno in faccia. E quando ho toccato il fondo ho trovato la forza di reagire. E di tirarmi fuori dai guai. Quindi le botte sul ring per chi ha il mio vissuto non sono la fine del mondo».
Quando ha iniziato?
«A 14 anni e mezzo. Sono andata a vedere un incontro di mio cugino. Faceva Kickboxing. Voglio provare e da lì mi sono appassionata al pugilato. Per un periodo ho smesso per poi ricominciare quattro anni fa».
Quanto si guadagna con il pugilato?
«Qui in Italia, non puoi farlo come mestiere. Non ti permette di vivere. A meno che non hai degli sponsor. E non è il caso mio. Io lavoro e sudo».
Quali sono i suoi colpi migliori?
«Il gancio sinistro e il montante sono quelli che mi riescono meglio»
Quanto si allena?
«Tutti i giorni, sei su sette. Due ore al giorno in palestra».
Che cosa fa nella vita?
«Io adesso lavoro in una pizzeria, a Montesilvano. Sono all’impasto. Faccio la pizzaiola».
A che cosa deve rinunciare?
«Negli ultimi tempi le rinunce sono state soprattutto alimentari per rientrare nel peso. Comunque per fare la vita da atleta non puoi permetterti di fare le serate con gli amici, di fare tardi la sera, magari un pranzo familiare. La vita da atleta ha le sue regole. Allo stesso modo, però va detto che, per me che ho una figlia a casa e non sono più una teenagers, non comportano delle rinunce dolorose».
Chi è il suo idolo?
«Mike Tyson, il Maradona del pugilato».
Quando tornerà sul ring?
«Non lo so, la cintura vale sei mesi, poi ci sarà un’asta se non sbaglio. Ma ci sono altri deputati a queste cose. Vedremo».
All’orizzonte che cosa vede?
«Voglio che quando mia figlia crescerà si renda conto dei sacrifici fatti per lei e che sia orgogliosa di sua madre. Il mio sogno è aprire una palestra e togliere i bambini dalla strada. Aiutare la gente a capire il valore della vita. Che non è la vita dei social. Non è apparenza. Anche quando tutto va male, ci si deve rialzare sempre. C’è speranza. E’ una questione mentale».
A chi deve dire grazie?
«In primis alla mia famiglia, che mi ha aiutato con mia figlia. Ai miei compagni di squadra che mi hanno sostenuto in ogni allenamento. E poi Simone De Marco e la moglie Marianna, indispensabili per me. Dei pilastri».
Che cosa le ha detto sua figlia sabato sera dopo il combattimento?
«Mi ha abbracciato e mi ha detto: “Ce l’abbiamo fatta, adesso sei una campionessa”. Cinque anni, Desirée, il mio amore».
Quali sono i tratti di femminilità che la esaltano fuori dal ring?
«Io sono timida, insicura. Fa ridere, ma è così. Sono diversa da quel che appare sul ring. L’apparenza è un’altra cosa, tanto per restare sul tema. Il tacco alto? Se necessario lo metto, non rinuncio all’essere donna».
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