Pescara, bomba carta esplode nel giardino di Sebastiani
Domenica notte l'ennesima intimidazione dopo quella di febbraio scorso con l'incendio delle automobili
PESCARA. Una bomba carta lanciata e fatta esplodere nel giardino di casa Sebastiani. È la seconda intimidazione nel giro di tre mesi, nei confronti del presidente del Pescara che domenica ha chiuso il pomeriggio di insulti e contestazioni fioccati allo stadio dopo l’ennesima sconfitta del Pescara, con l’intervento di tre volanti della polizia davanti al cancello di casa sua, in viale della Riviera.
Ad allertare la polizia è stata, alle 23,15, una telefonata alla centrale operativa del 113 che segnalava «un’esplosione forte». Sul posto si sono precipitate le volanti e poi anche la Digos e la Scientifica per ricostruire e raccogliere tutti gli elementi utili a individuare i responsabili. Provenienti, è questa l’idea degli investigatori, dall’ambiente calcistico e riconducibile in particolare al risentimento, nei confronti della società, maturato per la retrocessione ormai matematica della squadra. Un’invasione della sfera privata e personale del presidente del Pescara, la seconda in pochi mesi, ritenuta ulteriormente grave anche rispetto a una città che mai, prima d’ora, aveva registrato episodi a ripetizione di questo tenore. A nessun livello.
È per questo che mentre le indagini relative al rogo doloso appiccato alle due macchine della famiglia di Daniele Sebastiani nella notte tra il 6 e il 7 febbraio sono vicine alla conclusione, gli investigatori hanno fretta di dare un volto e un nome ai responsabili di questo secondo episodio, convinti che nasca dal medesimo clima di tensione di febbraio. Un clima che, come hanno già dimostrato le indagini del rogo di tre mesi fa, non sarebbe riconducibile neanche questa volta al tifo organizzato. Piuttosto a esponenti di frange sempre più frammentate con le quali anche la Digos, che ben conosce l’ambiente, ha difficoltà a dialogare. Come, al contrario, avveniva negli anni passati.
Decisive, adesso, potrebbero rivelarsi le immagini registrate dal sistema di videosorveglianza della palazzina dove abita il presidente del Pescara. Per ora si parla almeno di una persona, con un casco bianco e in sella a un motorino che si allontana in tutta fretta lungo il marciapiede.
Il botto. Per ora non ci sarebbero testimoni se non un addetto alla vigilanza privata, della Daga security, che domenica, intorno alle 23 stava facendo il consueto servizio di pattugliamento radiomobile tra gli stabilimenti balneari lungo la Riviera. L’addetto ha riferito che alle 23,20 ha visto del fumo uscire dalla palazzina di fronte allo stabilimento Calypso e si è precipitato a verificare che cosa stava succedendo. In tutta fretta ha suonato al citofono per segnalare l’accaduto e ha chiesto che gli venisse aperto. Quando è entrato, il vigilante ha impiegato un paio di minuti per guardarsi velocemente intorno e per rendersi conto che non si trattava di un incendio, perché non c’erano le fiamme, ma solo fumo che stava diradandosi. Intanto, sono scesi il presidente con la moglie e una delle figlie riferendo di aver sentito un forte boato pochi minuti prima. E di lì a poco è arrivata la polizia. Gli investigatori si sono resi conto che, al di là del botto, avvertito forte e vigoroso come quello di un grosso petardo, l’esplosione non ha causato danni, lasciando invece solo residui di una rudimentale bomba carta. Resti che gli esperti della Scientifica hanno sequestrato per ulteriori analisi. Di certo, l’ipotesi più accreditata è che sia stato un gesto studiato e ben preparato, sicuramente da più persone che in sella ai motorini, almeno uno quello già individuato, hanno avuto il tempo di avvicinarsi al cancello dell’abitazione, di rallentare, di lanciare la bomba carta all’interno del giardino e di fuggire mentre esplodeva.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Ad allertare la polizia è stata, alle 23,15, una telefonata alla centrale operativa del 113 che segnalava «un’esplosione forte». Sul posto si sono precipitate le volanti e poi anche la Digos e la Scientifica per ricostruire e raccogliere tutti gli elementi utili a individuare i responsabili. Provenienti, è questa l’idea degli investigatori, dall’ambiente calcistico e riconducibile in particolare al risentimento, nei confronti della società, maturato per la retrocessione ormai matematica della squadra. Un’invasione della sfera privata e personale del presidente del Pescara, la seconda in pochi mesi, ritenuta ulteriormente grave anche rispetto a una città che mai, prima d’ora, aveva registrato episodi a ripetizione di questo tenore. A nessun livello.
È per questo che mentre le indagini relative al rogo doloso appiccato alle due macchine della famiglia di Daniele Sebastiani nella notte tra il 6 e il 7 febbraio sono vicine alla conclusione, gli investigatori hanno fretta di dare un volto e un nome ai responsabili di questo secondo episodio, convinti che nasca dal medesimo clima di tensione di febbraio. Un clima che, come hanno già dimostrato le indagini del rogo di tre mesi fa, non sarebbe riconducibile neanche questa volta al tifo organizzato. Piuttosto a esponenti di frange sempre più frammentate con le quali anche la Digos, che ben conosce l’ambiente, ha difficoltà a dialogare. Come, al contrario, avveniva negli anni passati.
Decisive, adesso, potrebbero rivelarsi le immagini registrate dal sistema di videosorveglianza della palazzina dove abita il presidente del Pescara. Per ora si parla almeno di una persona, con un casco bianco e in sella a un motorino che si allontana in tutta fretta lungo il marciapiede.
Il botto. Per ora non ci sarebbero testimoni se non un addetto alla vigilanza privata, della Daga security, che domenica, intorno alle 23 stava facendo il consueto servizio di pattugliamento radiomobile tra gli stabilimenti balneari lungo la Riviera. L’addetto ha riferito che alle 23,20 ha visto del fumo uscire dalla palazzina di fronte allo stabilimento Calypso e si è precipitato a verificare che cosa stava succedendo. In tutta fretta ha suonato al citofono per segnalare l’accaduto e ha chiesto che gli venisse aperto. Quando è entrato, il vigilante ha impiegato un paio di minuti per guardarsi velocemente intorno e per rendersi conto che non si trattava di un incendio, perché non c’erano le fiamme, ma solo fumo che stava diradandosi. Intanto, sono scesi il presidente con la moglie e una delle figlie riferendo di aver sentito un forte boato pochi minuti prima. E di lì a poco è arrivata la polizia. Gli investigatori si sono resi conto che, al di là del botto, avvertito forte e vigoroso come quello di un grosso petardo, l’esplosione non ha causato danni, lasciando invece solo residui di una rudimentale bomba carta. Resti che gli esperti della Scientifica hanno sequestrato per ulteriori analisi. Di certo, l’ipotesi più accreditata è che sia stato un gesto studiato e ben preparato, sicuramente da più persone che in sella ai motorini, almeno uno quello già individuato, hanno avuto il tempo di avvicinarsi al cancello dell’abitazione, di rallentare, di lanciare la bomba carta all’interno del giardino e di fuggire mentre esplodeva.
©RIPRODUZIONE RISERVATA