Pescara, un buon mercato e il rischio crac
Due milioni di attivo, ma Pincione e i soci non hanno ancora pagato le tasse
PESCARA. L'erario, Pincione e i pescaresi stanno aspettando. L'erario i soldi di Pincione e Pincione i soldi di non si sa bene chi. E i pescaresi? A questo punto, possono aspettare solo un miracolo. Manca poco al 27 giugno, quando ci sarà la scadenza per l'iscrizione al campionato di C1, e il Pescara non ha ancora provveduto al pagamento dell'Irpef e dell'Enpals. Per regolarizzare il tutto, data l'esistenza di un credito di mercato, servono un milione e 200mila euro. I soldi meritano sempre il massimo rispetto, ma questa somma è quasi ridicola nel mondo del calcio.
L'ansimare del presidente Pincione conferma che non è affatto strutturato - e poco importano i motivi - per affrontare lo sport a certi livelli. Nulla di quanto ha promesso si è trasformato in realtà, dal principe arabo ai trenta milioni di euro per fare grande il Pescara alla quotazione del club nella City di Londra. E' assurdo che rischi di essere cancellato dal calcio “pro” una società che non ha il becco di un quattrino di debito con le banche. Non solo: grazie al buon gioco fatto con le comproprietà e la cessione di metà Carozza, oggi può vantare più di 2milioni di attivo di mercato, che si trasformerà in denaro contante nei prossimi mesi (i pagamenti sono rateali e transitano attraverso la Federazione). Non basta? Aggiungiamo che il settore giovanile non è stato svenduto, come lasciavano temere certi sinistri segnali.
La prima cosa da augurarsi è che Pincione trovi i soldi necessari. Magari, superata la congiuntura negativa, trasformerà i granelli di sabbia in scintillanti diamanti. Evviva. La seconda è che l'italoamericano si dimostri positivo davanti all'eventuale impossibilità di agire. Per ora è animato dalla filosofia del “muoia Sansone con tutti i filistei”. Non gli fa onore. Se non può tenere in vita il club, lo dica sinceramente e permetta un'operazione di salvataggio. Sempre che ci sia qualcuno interessato ad esporsi. Le velenose esalazioni prodotte dall'ambiente infetto hanno consigliato agli imprenditori di spessore, quelli che hanno stabilità, capacità di progettare e accesso al credito bancario, di tenersi alla larga da via Mazzarino. Su questo bisognerà riflettere. Comincino a farlo i pistoleri di professione, quelli che hanno sparato su Scibilia e Oliveri anche quando non lo meritavano. Che poi sono gli stessi che hanno crivellato Paterna appena è entrato in difficoltà, contribuendo ad accelerare il processo di cambiamento della proprietà fino a metterlo fuori controllo.
Il triste spettacolo di questi giorni è soprattutto la conseguenza dell'insensata operazione portata avanti da Angelo Renzetti e dai suoi manipoli a inizio anno. In soli sei mesi, il Pescara è passato dalla possibilità di ricominciare a lottare per restare in serie B al rischio di morire. A chi è convenuto? E c'è un'altra domanda da porsi: chi pensava di guadagnarci? Troppi hanno sperato e sognato di vivere di calcio. Di Pescara Calcio. Drogati di ottimismo. Questo club non ha bisogno di un nuovo addetto alla comunicazione nè di un improbabile capo osservatore nè, tantomeno, deve preoccuparsi di generare, direttamente o indirettamente, flussi pubblicitari. Gli serve la serenità per camminare e possono darla solo una proprietà con la maiuscola e un ambiente costruttivo.
Il bottino realizzato in questi giorni tramite le cessioni è ragguardevole: mezzo milione di euro con metà Carozza (al Bari), 440.000 euro con Croce (la seconda metà all'Arezzo), 250.000 euro con Diakitè (seconda metà alla Lazio), 130.000 euro con Pepe (riscattato dalla Cremonese), 60.000 euro con Olivieri (riscattato dal Chievo). In più, ci sono un credito di mezzo milione e i cartellini di Felci e De Falco presi, quasi a costo zero, rispettivamente da Giulianova e Fiorentina. Tutto questo è merito di chi, nel tempo, ha lavorato in campo e dietro la scrivania e di chi ha permesso loro di farlo. Non è certo merito di Pincione, Renzetti e compagnia cantante.
L'ansimare del presidente Pincione conferma che non è affatto strutturato - e poco importano i motivi - per affrontare lo sport a certi livelli. Nulla di quanto ha promesso si è trasformato in realtà, dal principe arabo ai trenta milioni di euro per fare grande il Pescara alla quotazione del club nella City di Londra. E' assurdo che rischi di essere cancellato dal calcio “pro” una società che non ha il becco di un quattrino di debito con le banche. Non solo: grazie al buon gioco fatto con le comproprietà e la cessione di metà Carozza, oggi può vantare più di 2milioni di attivo di mercato, che si trasformerà in denaro contante nei prossimi mesi (i pagamenti sono rateali e transitano attraverso la Federazione). Non basta? Aggiungiamo che il settore giovanile non è stato svenduto, come lasciavano temere certi sinistri segnali.
La prima cosa da augurarsi è che Pincione trovi i soldi necessari. Magari, superata la congiuntura negativa, trasformerà i granelli di sabbia in scintillanti diamanti. Evviva. La seconda è che l'italoamericano si dimostri positivo davanti all'eventuale impossibilità di agire. Per ora è animato dalla filosofia del “muoia Sansone con tutti i filistei”. Non gli fa onore. Se non può tenere in vita il club, lo dica sinceramente e permetta un'operazione di salvataggio. Sempre che ci sia qualcuno interessato ad esporsi. Le velenose esalazioni prodotte dall'ambiente infetto hanno consigliato agli imprenditori di spessore, quelli che hanno stabilità, capacità di progettare e accesso al credito bancario, di tenersi alla larga da via Mazzarino. Su questo bisognerà riflettere. Comincino a farlo i pistoleri di professione, quelli che hanno sparato su Scibilia e Oliveri anche quando non lo meritavano. Che poi sono gli stessi che hanno crivellato Paterna appena è entrato in difficoltà, contribuendo ad accelerare il processo di cambiamento della proprietà fino a metterlo fuori controllo.
Il triste spettacolo di questi giorni è soprattutto la conseguenza dell'insensata operazione portata avanti da Angelo Renzetti e dai suoi manipoli a inizio anno. In soli sei mesi, il Pescara è passato dalla possibilità di ricominciare a lottare per restare in serie B al rischio di morire. A chi è convenuto? E c'è un'altra domanda da porsi: chi pensava di guadagnarci? Troppi hanno sperato e sognato di vivere di calcio. Di Pescara Calcio. Drogati di ottimismo. Questo club non ha bisogno di un nuovo addetto alla comunicazione nè di un improbabile capo osservatore nè, tantomeno, deve preoccuparsi di generare, direttamente o indirettamente, flussi pubblicitari. Gli serve la serenità per camminare e possono darla solo una proprietà con la maiuscola e un ambiente costruttivo.
Il bottino realizzato in questi giorni tramite le cessioni è ragguardevole: mezzo milione di euro con metà Carozza (al Bari), 440.000 euro con Croce (la seconda metà all'Arezzo), 250.000 euro con Diakitè (seconda metà alla Lazio), 130.000 euro con Pepe (riscattato dalla Cremonese), 60.000 euro con Olivieri (riscattato dal Chievo). In più, ci sono un credito di mezzo milione e i cartellini di Felci e De Falco presi, quasi a costo zero, rispettivamente da Giulianova e Fiorentina. Tutto questo è merito di chi, nel tempo, ha lavorato in campo e dietro la scrivania e di chi ha permesso loro di farlo. Non è certo merito di Pincione, Renzetti e compagnia cantante.