Daniele De Rossi e Claudio Ranieri: passato e futuro sulla panchina della Roma

L'EDITORIALE

Provaci ancora, Claudio

Pensate: la notizia che tutti i giornalisti d’Europa inseguivano, senza trovare conferme, era nota da due mesi al sindaco di Loreto Aprutino (e ai suoi fortunati compaesani)

Ieri rideva e scherzava con autoironia: «Se hanno chiamato me significa che c’è una gatta da pelare». E così Claudio Ranieri torna in scena nei panni del mattatore: torna acclamato da guru come in un romanzo sudamericano, epico e crepuscolare allo stesso tempo, torna con un colpo di scena teatrale (da Loreto a Londra), torna ancora una volta (lo ha già fatto con nove squadre!) in serie A. Ieri Ranieri è diventato il nuovo mister giallorosso (in questo caso è la terza volta) dopo che per una settimana il toto-allenatori della Roma sembrava diventato una telenovela, un tritacarne inesorabile in cui si bruciavano nomi e ipotesi come se piovesse: Allegri, Sarri, e persino Vincenzo Montella, recuperato in Turchia…

Invece l’ha spuntata lui, “l’Highlander”, l’ultimo grande immortale del calcio italiano. Ma Ranieri torna anche con un piccolo grande paradosso. Pensate: la notizia che tutti i giornalisti d’Europa inseguivano, senza trovare conferme, era nota da due mesi al sindaco di Loreto Aprutino (e ai suoi fortunati compaesani). Sulle testate britanniche (e persino su quelle americane, per via della proprietà del club) ci si chiedeva ossessivamente se il neo allenatore avrebbe accettato o meno. Mentre lui aveva già svelato tutto (potere della provincia!) in una indimenticabile serata per calciomani organizzata proprio dal primo cittadino di Loreto, collezionista di cimeli e cultore della materia.

Era il 22 settembre scorso e Ranieri (fuoriclasse anche in questo) aveva accettato l’invito ad essere l’ospite d’onore di una serata dedicata a Gigi Riva in Abruzzo. Il mister dei mister era stato celebrato nel paese dell’olio come un santo patrono: decine di selfie, autografi sulle maglie, pizzette in piazza, folla di grandi e piccini per stringergli la mano. Poi, in teatro, interrogato sul palco, dopo la famosa frase pronunciata a giugno, dopo aver salvato il Cagliari (“Con il calcio ho chiuso, tornerei ad allenare solo se arrivasse la richiesta della nazionale”) non si era sottratto.

Alla domanda sul suo futuro, aveva fatto rumoreggiare la platea con questa postilla: “E’ vero, ho detto che smetto. Ma è vero che io ragiono sempre con la testa, ma anche con il cuore. Potrei ricredermi – aveva detto guardando negli occhi Nicola Riva, figlio di Gigi – solo in due casi. Se ci fosse una situazione di emergenza per il Cagliari, la prima squadra che mi ha dato fiducia nella mia vita. Oppure se fosse necessario il mio aiuto alla Roma, la squadra della mia città”. Da Loreto la notizia era rimbalzata fino alla capitali del calcio, attraverso il tam tam informale degli addetti ai lavori. E ieri, dopo quattro ore di incontro serrato, Ranieri ha detto di sì all’offerta dei Friedkin.

Che dire di un uomo che ha vinto con il Valencia in Spagna mettendo al tappeto in epiche sfide il Barcellona e il Real Madrid? Che ha conquistato uno scudetto con una squadra di outsider – il Leicester della leggenda – in Premier League? Che ha allenato in tutti i sette più importanti derby del nostro campionato (quello della lanterna a Genova, quello di Milano, quello di Torino, quello “bisestile” tra Napoli e Avellino, quello rarissimo tra Cagliari e Torres ed ovviamente quello della Capitale tra Roma e Lazio?): “Chi volesse battere questo record, dati gli incastri tra promozioni e retrocessioni – scherzava con una punta di orgoglio – avrebbe bisogno di un paio di carriere, e anche di un po’ di culo”.

Quella folla di Loreto, l’umiltà di chi considera la grande piazza importante come la più piccola, sono la cifra di questo grande vecchio, e anche il motivo per cui chi ama il calcio e i suoi eroi avrà un motivo in più (da oggi) per seguire il campionato. Ranieri è uomo di straordinaria eleganza, sportivo fino al midollo, ultimo maestro di un galateo antico. Rimase nella storia, due anni fa, a Bari, l’invito ai tifosi della sua squadra – festante per una promozione all’ultimo minuto – a rispettare la curva degli avversari battuti. E’ altrettanto letterario il suo annuncio di dimissioni volontarie quando la squadra che allenava l’anno scorso era ultima: quel giorno fu bloccato dalle lacrime e dalla commozione di tutto lo spogliatoio (e alla fine – in barba ai pronostici dei bookmakers – la squadra si salvò).

Perché Ranieri non appartiene alla categoria italiana di autoproclamati saggi irrisi da Alberto Arbasino (“Ci vuole poco a passare da giovane promessa a vecchio stronzo”), Ranieri è diventato leggenda sempre mettendo in gioco qualcosa di sé stesso: le certezze, le rendite di posizione, gli ingaggi più facili, e – soprattutto - quello che ha di più caro: il suo nome. Rischia la sua fama anche stavolta, salendo a Trigoria su una locomotiva in corsa senza macchinista. Provaci ancora, Claudio.