CALCIO FEMMINILE
Sabatino al settimo cielo: "Milan e Nazionale sono la mia felicità"
"Faccio quello che sognavo da bambina, per me il pallone è lavoro, passione e amore"
«Sono abruzzese al 100%. È vero, sulla carta d’identità c’è scritto che sono nata ad Agnone. Ma sono di Castelguidone, nell’Alto Vastese. Però, l’ospedale più vicino per partorire è quello di Agnone. Ma lì sono solamente nata».
Daniela Sabatino è una delle migliori espressioni del calcio femminile in Italia. Non a caso veste la maglia del Milan, è vice capocannoniere della serie A con 17 gol ed è il centravanti della Nazionale che a giugno disputerà la fase finale dei Mondiali.
Una lunga carriera alle spalle a inseguire un pallone, oggi a 33 anni si gode il magic moment di un movimento che sta uscendo da guscio spinto dall’input della Fifa che sta puntando sulla promozione del calcio femminile anche in Italia.
Che attaccante è la Sabatino?
«Mi ritengo una punta altruista e furba. Che aiuta la squadra e ha il fiuto del gol. A Brescia mi chiamavano Pippo Inzaghi, il mio idolo».
Lei è anche milanista.
«Sono nata in una famiglia in cui sono quasi tutti juventini e io per ripicca sono diventata milanista. Erano i tempi di Gullit e Van Basten. Mi sono innamorata di quel Milan. Ma il mio idolo è Pippo…».
Quando ha capito che avrebbe fatto la calciatrice?
«A Reggio Emilia dove avevo come allenatrice Milena Bertolini che oggi è il ct della Nazionale. Lei mi ha fatto capire che avevo tutto per sfondare, ma che dovevo metterci più testa».
Ovvero?
«Curare i particolari, pensare di squadra e dedicare tutta me stessa al calcio. Lì è svoltata la mia carriera. Devo tanto a lei. Ero una ragazzina e mi ha dato fiducia, con lei ho vinto il primo trofeo, la coppa Italia con la Reggiana. E poi sono andata per conto mio».
Sta per compiere 34 anni, proprio mentre il calcio femminile sta decollando in Italia.
«Peccato, fossi nata dieci anni dopo… A parte gli scherzi, la mia intenzione non è quella di smettere adesso, mi sento bene fisicamente. Posso ancora dare tanto e voglio godermi tutto ciò che è possibile. Non mi passa per l’anticamera del cervello di appendere le scarpe al chiodo. Questo momento magico me lo voglio godere finché posso».
È il momento del calcio femminile e della Sabatino.
«Io faccio quello che volevo fare. Da quando ero a Brescia sono professionista. Sono milanista sfegata e vesto la maglia rossonera con il 9 sulle spalle. Sono contenta qui al Milan, abbiamo la possibilità di allenarci la mattina e la struttura al Vismara è eccezionale. Adesso è cambiato tutto, anche la tv ci dà spazio. Stiamo crescendo, ci facciamo sentire, ma siamo ancora indietro rispetto alle altre nazioni. L’ingresso dei grandi club è stato il punto di svolta, stiamo vivendo una grande rivoluzione culturale. Juve-Fiorentina, e i 40mila sugli spalti dell’Allianz Stadium, spero sia solo l’inizio».
Poi, infatti, a giugno ci saranno i Mondiali in Francia.
«Può essere un ulteriore traino per il movimento».
Lei non sta nella pelle.
«Ho la possibilità di coronare il sogno di ogni bambino o bambina che sia. L’Italia è assente da tanto tempo alla fase finale dei Mondiali e vogliamo partecipare per dire la nostra. Stiamo ottenendo dei buoni risultati e vogliamo giocarcela. Crediamo nel passaggio del turno».
Il calcio è ancora maschilista?
«No, ora tutti ne parlano. Il calcio può essere anche femminile, purtroppo c’è qualche retaggio del passato. Ma ormai è marginale. Magari qualcuno se ha qualche dubbio ci viene a vedere e cambia idea».
La differenza con i maschi?
«L’aspetto fisico, noi andiamo leggermente meno forte. Ma per quanto riguarda tattica e tecnica niente da invidiare».
Lei per l’Abruzzo è la versione femminile di Verratti?
«È un paragone che mi lusinga. Ma regge solo perché giochiamo entrambi in Nazionale».
Fare la calciatrice professionista che cosa significa?
«Per me il calcio è lavoro, passione e amore. È tutto. A 14 anni sono andata via di casa, ho lasciato i genitori e la famiglia. Non è stato facile. Ma per me non è mai stato un peso perché facevo quello che mi piace. Lo rifarei in un’altra vita».
Che cosa le manca dell’Abruzzo?
«La famiglia, stare a casa con i miei. Quando posso scappo e vado a casa per rilassarmi».
Negli anni come si è evoluto il calcio femminile?
«È cresciuto grazie all’apporto di tanti allenatori che di calcio sanno e che ci hanno dato la possibilità di esprimere un bel gioco. Siamo cresciute a livello anche tattico e fisico».
È la settimana decisiva della stagione?
«Sì, c’è la coppa Italia (oggi a Torino, ndr). All’andata abbiamo perso 2-1, ma giocheremo per ribaltare il risultato».
Lo scudetto?
«È dura, perché sperare in un passo falso di due squadre (Juve prima con un punto di vantaggio sulla Fiorentina e due sul Milan, ndr) in 90’ è un po’ arduo».
Che cosa non rifarebbe?
«Rifiutai una convocazione nell’under 19, quando ero ragazzina».
Perché?
«Semplice, non avevo la testa. Mi chiamarono in estate, volevo fare le mie ferie e non andai. Mio padre non mi parlò per un mese. Se tornassi indietro…».
Lei ha Carolina Morace come allenatrice?
«La coach, vuole essere chiamata così. Ho avuto fortuna di vederla giocare, il suo nome parla da solo. Ha fatto la storia».
L’obiettivo al Milan?
«Fare il massimo, perché quando sei al Milan solo a quello puoi ambire. Questo è il primo anno e siamo arrivate fino in fondo, in lizza sia per il campionato che per la coppa. Durante la stagione abbiamo commesso degli errori, con un po’ di esperienza in più si poteva fare meglio».
Calcio femminile e omosessualità, solo pregiudizio?
«Quando si parla di noi donne viene subito fuori questa storia. È un vecchio retaggio. Il calcio non è solo uno sport maschile, noi stiamo dimostrando che è anche donna. E l’omosessualità esiste nel calcio femminile così come tra i maschi».
@roccocoletti1.
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