Scibilia: il mio Giulianova-Pescara

16 Settembre 2009

L’ex presidente: «Andrò allo stadio per la sfida del cuore».

MOSCIANO SANT’ANGELO. Pensi a Giulianova-Pescara e la mente corre veloce verso Pietro Scibilia. Sarà il derby dei tanti ex, ma il Commendatore ha scritto pagine di storia calcistica, sia a Giulianova che a Pescara. Ha presieduto entrambi i club in epoche diverse. E’ ancora un personaggio. A 80 anni ben portati, è in azienda, nella Gis. Al lavoro come al solito. E’ quello di sempre, magari un po’ meno battagliero. Ma la mente è lucida e i ricordi sono vivi. Domenica sarà al Fadini, «perché è il mio derby del cuore». E perché, nonostante non sia più un protagonista, è rimasto un appassionato di calcio, del Pescara e del Giulianova. E alla vigilia del derby ha accettato di sfogliare l’album dei ricordi.

Commendatore, come sta?
«Bene, come vede sono al lavoro. Sono felice e tranquillo con la famiglia, finalmente me la sto godendo».

E il calcio?
«Lo guardo in televisione, la domenica. Vedo Diretta gol su Sky. E poi, alla fine, osservo i risultati delle abruzzesi su Televideo, commentandoli al telefono con Venceslao Di Persio (braccio destro ai tempi del Pescara, ndr), che tiene per il Celano».

Domenica è in programma Giulianova-Pescara.
«Sarà una bella sfida».

Andrà al Fadini?
«Certo che ci andrò, è il mio derby del cuore».

Per chi farà il tifo?
«Che vinca il migliore, lo dirà il campo».

Segue le due squadre?
«Certamente, il Pescara sta facendo bene, ma per i mezzi di cui dispone può e deve fare meglio. E il Giulianova mi piace, perché è pieno di ragazzini. Il calcio non si fa solo spendendo soldi o con i grandi nomi».

Per chi tifa?
«Per l’Italia, sono un grande tifoso azzurro».

Nostalgia?
«Nessuna, solo un po’ di amarezza per come si è chiusa la mia avventura».

E come si è chiusa?
«Cedendo la società del Pescara praticamente gratis».

La sorprende sapere dei 10.000 dell’Adriatico?
«No, Pescara è una grande piazza. Non merita la serie C1 (oggi Prima divisione, ndr). E’ da serie A. I tifosi hanno voglia di Pescara, una voglia lievitata negli ultimi anni di sofferenza. Hanno capito che il calcio è anche sacrificio. E poi penso che, oggi, ci sia una società che ha i mezzi per fare grande il Pescara».

Come si è lasciato con la tifoseria?
«Io sono il primo tifoso biancazzurro. Ma la piazza non mi ha capito».

Addirittura!
«Non mi ha capito, forse non mi sono fatto capire io. Purtroppo, non mi so vendere bene. Non so prendere in giro la gente. Preferisco essere schietto, a costo di essere crudo».

Nel calcio è entrato a Giulianova.
«Bei ricordi, ho preso la società rilevandola da 4-5 soci locali. Era il 1978. L’ho tenuta quattro anni durante i quali abbiamo conquistato una promozione in C1 con il compianto Gianni Corelli in panchina. Ecco (dice indicando la parete, ndr), quella al muro è la maglia giallorossa numero 11 di Roberto Ciccotelli. C’era Nando Ruffini in quel gruppo, l’ho visto crescere. C’era Titti Savoldi. E poi sono stato io a far diventare Giorgini allenatore».

Nel 1982 ha ceduto.
«Sì, a Orsini».

Perché?
«Avevo il ciclismo, all’epoca. Ho avuto alle mie dipendenze i migliori corridori: Moser, Saronni, Bitossi e Basso, tra gli altri».

Poi, ha scelto Pescara.
«Nel 1987 la società era in crisi. C’erano dei soci che non ce la facevano più. E Piscione, il sindaco oltre che grande tifoso, chiamò diversi imprenditori per aiutare il club. Volevano prenderlo gratis. Il gruppo un po’ alla volta si è sfaldato. E Piscione ha insistito con me affinché entrassi. E lo feci al 50% con la promessa di rilevare l’altro 50% a fine anno. Nonostante la retrocessione dalla A alla B, ho tenuto fede ai miei impegni e ho preso tutto il Pescara».

Perché?
«Per commercializzare il marchio Gis. Ma per come è andata a finire non è stata una buona operazione di marketing».

Che cosa ha rappresentato Pescara?
«Alla squadra e alla città sono legato. Mi è dispiaciuto il fallimento della società e, soprattutto, il modo in cui ci siamo lasciati».

Lei ha sempre detto di averci rimesso dei soldi.
«Tanti soldi. Ogni retrocessione un bagno di sangue».

Anche operazioni convenienti, ne ricorda alcune?
«Presi Massimiliano Allegri per un miliardo di lire e l’ho rivenduto a cinque. Lo stesso Esposito (Mauro, ndr) l’ho ceduto per cinque miliardi. Ma ne sono passati di giocatori...».

Anche di allenatori.
«Sa qual è il mio orgoglio? Vedere Dunga, Allegri, Giampaolo, Gasperini e Sliskovic allenare. Ragazzi che sono diventati uomini e si sono affermati in panchina».

Tra gli allenatori a chi è rimasto più affezionato?
«A Giovanni Galeone».

Più amore o più odio?
«Ma quale odio. I giornali cercavano l’attrito, faceva comodo la polemica. Ma un dualismo vero e proprio non c’è mai stato. I rapporti tra me e Giovanni sono sempre stati buoni».

Altri allenatori che le sono rimasti nel cuore?
«Delio Rossi. E poi Mazzone, altra brava persona».

Ma come, Mazzone l’ha subito esonerato?
«L’hanno esonerato i tifosi».

Che fa scarica le responsabilità?
«Il presidente quando licenzia un tecnico soffre per la decisione che prende. Ma il più delle volte la deve adottare per far contenta la piazza. Spesso sono i tifosi che pilotano certe decisioni».

Tra i tanti allenatori qual è stata la sorpresa?
«Luigi De Canio (ora guida il Lecce, ndr), non mi aspettavo che potesse fare così bene. E poi non dimenticate che Edy Reja allenatore l’ho inventato io (stagione 1989-1990, ndr), ve lo ricordate quando eravamo in serie B?».

Tra i giocatori chi la chiama ancora?
«Dunga si ricorda spesso. E quando ha vinto i Mondiali negli Usa mi ha mandato la maglia verdeoro».

Il ricordo più bello?
«L’amicizia con Leo Junior, un grande giocatore e un grande uomo».

Il ricordo più brutto?
«La retrocessione dalla serie A, 1988-1989. Non l’ho ancora digerita. Nell’ultima giornata noi abbiamo pareggiato, a Pisa, e la Lazio ha fatto lo stesso con l’Ascoli».

A proposito, Calciopoli?
«Sono sempre stato fuori da certi giri. Non è roba che mi interessa».

E Luciano Moggi?
«Rapporti di cortesia, qualche stretta di mano e niente di più».

E i direttori sportivi?
«Ho un buon ricordo di Pierpaolo Marino (ora dg del Napoli, ndr). E’ uno che ci sa fare. A Pescara ha portato Andrea Carnevale, uno che aveva giocato in Nazionale. Marino è adatto a fare calcio e a tenere le pubbliche relazioni».

Il presidente che più apprezza?
«Berlusconi».

Con chi ha litigato?
«No, io ho sempre avuto buoni rapporti con tutti. Specialmente con la famiglia Matarrese. Lo sa che mi è arrivato l’invito per la festa promozione del Bari?».

Lei ha avuto pochi soci durante la gestione del Pescara?
«Di Lena e Fedele, ma insieme siamo stati pochi mesi».

Che idea si è fatto del calcio abruzzese?
«Soffre la mancanza di imprenditori facoltosi innamorati del pallone».

Lei lo è stato?
«Innamorato del calcio, ma, soprattutto, nello sport. Il ciclismo mi ha dato gioie e soddisfazioni; il calcio qualche amarezza di troppo».

E si riferisce al rapporto con la piazza di Pescara?
«Certamente, ma con questo non voglio attribuire colpe. Può anche essere stata colpa mia che non mi sono fatto capire».

Lei è calabrese.
«Di Gioia Tauro. A 19 anni sono andato in Argentina per non fare il militare e sono tornato dopo essermi sposato».

Imprenditore nel settore oleario.
«Diverse aziende in Calabria, Puglia e Sicilia».

E in Abruzzo come è arrivato?
«Nel 1960. Ero giunto a Giulianova per comprare i macchinari di uno stabilimento. Sono rimasto bloccato dalla neve ed è finita che ho acquistato anche lo stabilimento, oltre ai macchinari. Un po’ alla volta ho allargato il mio raggio d’azione».

Dall’olio ai gelati.
«Nel 1972 ho creato la Gis che sta per gruppo industriale Scibilia».

In 50 anni di Abruzzo ha osservato anche il corso della politica locale.
«E credo che Remo Gaspari sia stato quello che ha fatto di più per questa regione. Lo ricordo con affetto. Credo anche lui visto che ogni tanto mi manda un bigliettino di saluti».

Poi?
«Non mi dispiaceva il sindaco denunciato, come si chiama?».

Luciano D’Alfonso?
«Bravo, D’Alfonso. Con lui ho avuto rapporti istituzionali, non mi ha chiesto e non gli ho chiesto nulla. Ma, a mio avviso, ci sapeva fare».

Adesso c’è l’avvocato Albore Mascia a palazzo di città.
«Un tifoso del Pescara, lo ricordo bene. Era un po’ un bastian contrario. La pensava a modo suo. Ma nel calcio tutto è ammesso...».