Barbiturici alla figlia, un anno

Mamma condannata, ma conserva la patria potestà.

TERAMO. Colpevole di aver somministrato barbiturici alla figlia di cinque anni. Sono le 19 quando il giudice monocratico Armanda Servino legge la sentenza e condanna la donna ad un anno. Si chiude così, almeno in primo grado, il caso della mamma teramana di 38 anni accusata di lesioni gravissime.

Il pm Monica Speca ne aveva chiesti tre. Per la donna (di cui non facciamo il nome per tutelare la minore) niente sospensione della patria potestà. Accolta la richiesta della parte civile (rappresentata dall’avvocato Federica Benguardato): una somma di 15mila euro da destinare alla piccola. La difesa, rappresentata dall’avvocato Luigi Di Liberatore, aveva chiesto l’assoluzione sottolinenando più volte, durante l’arringa, come il processo non sia riuscito a fare chiarezza su molti aspetti della vicenda. Una vicenda iniziata nell’ottobre del 2006. Allora la piccola, in due occasioni, venne portata in ospedale con un forte stato di sonnolenza e un quadro clinico alterato. L’inchiesta della procura (titolare del caso il pm Valentina D Agostino, da aprile trasferita dalla procura di Teramo a quella di Pescara) scattò immediatamente, ma solo dopo alcuni giorni di analisi ed accertamenti si ebbe la certezza che la bimba avesse avuto una intossicazione da barbiturici.

Una dose considerata minima, ma comunque sufficiente a provocarle un marcato stato di sofferenza. I sospetti di investigatori ed inquirenti caddero subito sulla madre, che finì sotto inchiesta. Per disposizione del tribunale dei minori dell’Aquila, una volta dimessa dall’ospedale, la bambina venne ospitata insieme alla madre in un centro di accoglienza. Nei mesi scorsi il tribunale per i minori ha disposto l’affidamento al padre. La madre, però, può stare con loro nella stessa casa con la vigilanza delle assistenti sociali. Una decisione, quella presa presa dal tribunale dei minori, arrivata dopo la riconsegna della perizia, richiesta dallo stesso tribunale, che ha escluso che la donna sia affetta dalla sindrome di Munchausen per procura, così come invece ipotizzato dal perito della procura in una consulenza.