Corso Trivio visto da piazza Orsiniun angolo immutato da due secoli
Il municipio è rimasto uguale e così palazzo Cerulli, dove visse l’astronomo a cui negli anni ’20 fu dedicata la strada. Affascinante la storia della chiesetta di Santa Caterina e di palazzo Savini
TERAMO. La foto oggi in edicola con il giornale mostra la parte dell’antico corso Trivio che oggi è chiamata corso Cerulli, fotografata - in tarda epoca fascista - nella sua parte superiore, ovvero allo sbocco in piazza Orsini. La strada, che oggi, sommando i tratti intitolati a De Michetti e a Cerulli, i teramani definiscono corso “vecchio”, era demominato Trivio proprio perchè nel suo punto terminale si incrociavano la fine del corso, piazza del municipio e via Teatro Antico (oggi via Irelli).
La denominazione del corso veniva menzionata già negli Statuti del 1440, fornendo così una preziosa testimonianza della configurazione della città. Gli elementi messi in risalto dalla foto sono tuttora esistenti e, nel caso del palazzo del municipio (l’edificio all’angolo sinistro), svolgono la stessa funzione. Poco dopo, sempre sulla sinistra, si vede il palazzo in cui chi abitò diede poi il nome alla strada, a lui intitolata negli anni ’20: si tratta di palazzo Cerulli, in cui visse l’astronomo Vincenzo Cerulli, edificio che subì un importante restauro tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Più avanti, all’angolo con il vicolo Santa Caterina, c’era il forno De Marco, reso celebre non solo dalla fragranza dei suoi prodotti ma anche dall’omicidio cui fece da sfondo.
La chiesa di Santa Caterina esisteva già nel XIV secolo, e forse la prima fase della sua costruzione, che venne scandita da due diversi momenti, si lega allo sviluppo del movimento femminile domenicano di quel periodo. La chiesa venne edificata in quella che già allora poteva essere definita un’area “archeologica”, e sfruttò strutture e materiali di edifici preesistenti, in una particolare mescolanza: la parete d’ingresso, fatta di pietre grezze legate da malta a calce e arena, i tre gradini di pietra squadrata e l’arco acuto del portale, fatto da blocchi di pietra di Civitella, si legano nell’architettura della chiesa con la croce di metallo settecentesca posta sopra il portale, con una finestrina a feritoia forse precedente il XIV secolo e con le due curiose pietre figurate (una raffigurante l’incudine e il martello, l’altra una ruota dentata) dai significati non limpidi, inserite nella parete d’ingresso e prese verosimilmente da una casa del vicolo.
In prossimità del tratto su cui sboccava anche il vicolo fino al XIX secolo la strada rimase estremamente tortuosa, per essere rettificata nel corso dell’800. In zona, difatti, fino agli inizi del XIX secolo, passava la cinta muraria interna con la porta che dava sul largo nei pressi della chiesa di Sant’Antonio.
Procedendo ci si trovava, ieri come oggi, di fronte ad uno dei palazzi più importanti di Teramo, palazzo Savini: fu edificato sui resti del vecchio carcere, a sua volta costruito sulle rovine di una casa di epoca romana, come testimonia uno dei più significativi reperti che la città possiede, il mosaico del Leone, che si trova nel seminterrato del palazzo. Costruito all’inizio dell’800, l’edificio fu ristrutturato più volte: nel 1842 a Giuseppe Mancini fu dato l’incarico di affrescare diverse sale, mentre sul finire del XIX secolo Francesco Savini fece dotare il palazzo di una cappella privata, i cui affreschi vennero eseguiti dal pittore romano Cesare Mariani.
La denominazione del corso veniva menzionata già negli Statuti del 1440, fornendo così una preziosa testimonianza della configurazione della città. Gli elementi messi in risalto dalla foto sono tuttora esistenti e, nel caso del palazzo del municipio (l’edificio all’angolo sinistro), svolgono la stessa funzione. Poco dopo, sempre sulla sinistra, si vede il palazzo in cui chi abitò diede poi il nome alla strada, a lui intitolata negli anni ’20: si tratta di palazzo Cerulli, in cui visse l’astronomo Vincenzo Cerulli, edificio che subì un importante restauro tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Più avanti, all’angolo con il vicolo Santa Caterina, c’era il forno De Marco, reso celebre non solo dalla fragranza dei suoi prodotti ma anche dall’omicidio cui fece da sfondo.
La chiesa di Santa Caterina esisteva già nel XIV secolo, e forse la prima fase della sua costruzione, che venne scandita da due diversi momenti, si lega allo sviluppo del movimento femminile domenicano di quel periodo. La chiesa venne edificata in quella che già allora poteva essere definita un’area “archeologica”, e sfruttò strutture e materiali di edifici preesistenti, in una particolare mescolanza: la parete d’ingresso, fatta di pietre grezze legate da malta a calce e arena, i tre gradini di pietra squadrata e l’arco acuto del portale, fatto da blocchi di pietra di Civitella, si legano nell’architettura della chiesa con la croce di metallo settecentesca posta sopra il portale, con una finestrina a feritoia forse precedente il XIV secolo e con le due curiose pietre figurate (una raffigurante l’incudine e il martello, l’altra una ruota dentata) dai significati non limpidi, inserite nella parete d’ingresso e prese verosimilmente da una casa del vicolo.
In prossimità del tratto su cui sboccava anche il vicolo fino al XIX secolo la strada rimase estremamente tortuosa, per essere rettificata nel corso dell’800. In zona, difatti, fino agli inizi del XIX secolo, passava la cinta muraria interna con la porta che dava sul largo nei pressi della chiesa di Sant’Antonio.
Procedendo ci si trovava, ieri come oggi, di fronte ad uno dei palazzi più importanti di Teramo, palazzo Savini: fu edificato sui resti del vecchio carcere, a sua volta costruito sulle rovine di una casa di epoca romana, come testimonia uno dei più significativi reperti che la città possiede, il mosaico del Leone, che si trova nel seminterrato del palazzo. Costruito all’inizio dell’800, l’edificio fu ristrutturato più volte: nel 1842 a Giuseppe Mancini fu dato l’incarico di affrescare diverse sale, mentre sul finire del XIX secolo Francesco Savini fece dotare il palazzo di una cappella privata, i cui affreschi vennero eseguiti dal pittore romano Cesare Mariani.