Disabili, il condominio in rivolta

12 Ottobre 2013

Gli inquilini fanno una petizione e si rivolgono anche a un legale: non vogliono una casa famiglia

TERAMO. Torna, insopprimibile, la paura del diverso. Anche se celata in un avverbio: quel “diversamente” abili è un’espressione che causa ancora discriminazione. Accade in un condominio nei pressi di viale Crucioli, dove i residenti hanno fatto una raccolta di firme per scongiurare l’eventualità che in un appartamento dello stabile andassero ad abitare sei donne con disagio psichico. Persone tranquille, autosufficienti e comunque assistete 24 ore su 24. Hanno vissuto fino a un anno fa in un appartamento in via Palma, dichiarato inagibile. La Asl ha dunque affittato un’abitazione a febbraio dove però, per una serie di problemi, ancora non sono riuscite a trasferirsi. Quando sembrava tutto pronto, la doccia fredda: la petizione per scongiurare l’arrivo della “casa famiglia”. «E’ una lussuosa palazzina del centro, abitata da gente "perbene" e dove si vedono affisse targhe di studi professionali importanti», racconta con amarezza una parente di una delle donne, «ebbene, l'intero condominio tramite un legale ha fatto sapere che queste donne non più giovanissime e diversamente abili, non possono entrare in quell'appartamento perché il regolamento interno non prevede la presenza di una "casa famiglia". Che dire? Si tratterà di un ulteriore cavillo tecnico riguardante il contratto? O magari questo condominio fatto di persone "perbene" si rifiuta di coabitare con chi , non di certo per propria scelta, è "diverso"? Propenderei per questa seconda ipotesi: qualcuno ha usato un sinonimo di "spazzatura" riferendosi alla "casa famiglia"». Nel frattempo, ormai da un anno, le sei donne sono costrette a vivere nella Rsa di Casalena. Una struttura assolutamente inadatta a loro, che si sono trovate «confinate in una stanza in compagnia di se stesse e delle operatrici che con loro hanno condiviso una sorta di "detenzione domiciliare"», racconta la parente.

La competenza è della Asl, ma della triste storia è stato interessato anche l’assessore comunale al sociale Giorgio D’Ignazio: «Non possono rimanere nella Rsa, sono persone che hanno un semplice disagio: hanno bisogno di vivere a contatto con la gente. Sto cercando una soluzione alternativa, non abbandonerò queste donne». Anche perchè loro non vedono l’ora di rientrare in una casa vera: stavolta ci avevano proprio creduto e avevano preparato le valige.

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