Ha ucciso il padre con 92 coltellate: "Quella casa era un carcere"

Francesco Di Rocco parla in aula (foto Giampiero Marcocci)

17 Dicembre 2024

Parla in aula l’uomo che ha colpito mortalmente il padre di 83 anni dopo l’ennesimo rimprovero: «È stato violento con me e mia madre. Quella sera non ci ho visto più»

TERAMO. Per un’ora e mezzo Francesco Di Rocco si racconta in aula riannodando i fili della memoria: da quella sera in cui ha sferrato 92 coltellate al padre perché «non ci ho visto più dopo una vita di violenze» agli ultimi trent’anni «che, mi creda, signor giudice, è come se fossi stato agli arresti domiciliari con quel padre che non mi permetteva di fare niente». Il 50enne studente universitario fuori corso di veterinaria parla da imputato davanti ai giudici della Corte d’assise (presieduta da Francesco Ferretti, a latere Marco D’Antoni più i popolari), chiamati a giudicarlo per l’omicidio del padre Mario, 83enne capostazione in pensione, sin dalla prima confessione descritto come «padre padrone».

«Quella sera stavo guardando la televisione che avevo il permesso di vedere solo fino a mezzanotte», risponde alle domande del pm Monia Di Marco, «lui con il suo solito modo imperioso mi ha detto di togliere gli adesivi dall’insalatiera. Gli ho detto finisco di vedere e lo faccio. È tornato una seconda volta e mi ha urlato “levali subito, altrimenti tolgo la corrente e ti butto via di casa”. A quel punto non ho capito più niente. Dopo 45 anni di violenze sono impazzito, ho capito che per lui non ero mai stato un figlio ma un oggetto».

E allora la spinta a terra, il coltello preso dalla credenza e quei 92 fendenti sferrati soprattutto al volto. «Ho preso il coltello per dargli una lezione», continua, «volevo fargli fare 3, 4 mesi di ospedale. Non volevo uccidere e per questo ho preso il coltello che tagliava di meno, quello meno affilato. Ho chiuso gli occhi e ho colpito alla cieca. Ero come una gomma che all’improvviso scoppia in autostrada. Mio padre chiedeva aiuto, mi diceva “fermati e pensa a tua madre”. Mi sono fermato, ho chiamato il 118 e i carabinieri. Dopo ho lavato e rimesso a posto l’arma proprio come mi aveva insegnato mio padre perché in casa tutti dovevamo rimettere a posto gli oggetti».

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