I giudici: Parolisi è ancora pericoloso

20 Gennaio 2012

Melania, la Cassazione nega la libertà al marito perché ha depistato le indagini

TERAMO. Ai giudici della Suprema corte bastano poche parole per blindare l'impianto accusatorio che ha portato Salvatore Parolisi in carcere. Per la Cassazione «è pericoloso, non ha un alibi e ha depistato le indagini con la messa in scena della siringa». Così la prima sezione penale spiega perchè a novembre ha negato la scarcerazione dell'uomo accusato di aver ucciso la moglie Melania Rea, respingendo il ricorso della difesa contro il provvedimento con cui il tribunale del Riesame dell'Aquila ha confermato l'ordinanza di custodia del gip Giovanni Cirillo.

Le motivazioni della Cassazione, dopo il provvedimento del 28 novembre, arrivano nei giorni in cui a Teramo è attesa la decisione del gip Giovanni de Rensis che deve pronunciarsi sulla richiesta di giudizio immediato fatta dal procuratore Gabriele Ferretti e dai pm Davide Rosati e Greta Aloisi. Nella sentenza 2136 i giudici della Prima sezione penale scrivono che «Parolisi deve rimanere in carcere perché è pericoloso, una pericolosità specifica sia processuale che criminale desumibile, oltre che dalla particolare gravità ed efferatezza del delitto contestato, anche dal depistaggio posto in essere successivamente e dal deturpamento del cadavere». E ancora «nessun profilo di illegittimità è ravvisabile dell'ordinanza impugnata, con riferimento alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza visto l'esauriente e corretto riferimento compiuto dai giudici del riesame alla personalità del soggetto indagato». Nelle motivazioni più volte vengono rimarcati sia «i profili di gravità indiziaria» e sia le «esigenze cautelari» nei confronti del caporalmaggiore in carcere da agosto. I giudici definiscono «infondati» i motivi addotti dalla difesa del caporalmaggiore e fanno più volte notare come il tribunale dell'Aquila «ha correttamente applicato le norme e ha offerto, a sostegno delle sue valutazioni, una motivazione completa e logica che resiste a tutte le censure prospettate dalla difesa dell'indagato».

Ma c'è un aspetto su cui i magistrati della Suprema Corte si soffermano. E' l'attribuzione «di valore indiziante alle dichiarazioni di Parolisi in merito ai movimenti suoi e della moglie per la giornata del 18 aprile». A questo proposito fanno notare che «i giudici di merito hanno correttamente evidenziato come la versione fornita dall'imputato sugli spostamenti suoi e della moglie nella giornata del 18 aprile sia rimasta sostanzialmente costante nel tempo, venendo confermata anche in sedi extraprocessuali e, quel che più conta, che la stessa risulta formulata nelle sue linee essenziali già in sede di denuncia della scomparsa della Rea, in un atto cioè che, come correttamente precisato nell'ordinanza impugnata, appartiene ad un primissimo momento processuale in cui nessun elemento indiziante a carico del Parolisi poteva rappresentarsi». I due reati e le quattro aggravanti contestati dalla procura a Parolisi sono da ergastolo: omicidio aggravato dal fatto di averlo commesso sul coniuge e dalla minorata difesa della vittima; vilipendio e deturpamento di cadavere. Niente premeditazione, niente concorso: per i magistrati teramani è stato Parolisi a tornare sul luogo del delitto per deturpare il cadavere e depistare.

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