OMICIDIO MELANIA REA
Le donne attiviste: no ai permessi premio, Parolisi resti in carcere
Lettera aperta sottoscritta da altre associazioni rivolta ai giudici: "Deve scontare tutta la pena"
PESCARA. Salvatore Parolisi deve scontare l'intera pena in carcere: a chiederlo sono un gruppo di donne - Benedetta La Penna, Edvige Ricci, Teresa Pezzi, Silvana Palumbi - attiviste nel mondo sociale, in una lettera aperta poi sottoscritta da tante altre donne ed associazioni che difendono i diritti delle donne nel Pescarese.
«Leggiamo - scrivono nella lettera - che Salvatore Parolisi, caporalmaggiore in Abruzzo dell'Esercito Italiano, assassino efferato della moglie Melania Rea dalla quale aveva avuto una figlia - che vive oggi con i nonni materni - ma nel frattempo impegnato in altre relazioni e, soprattutto, in torbidi affari e giri in caserma, potrebbe uscire per varie licenze premio e anche per parecchi giorni di continuo, dopo soli nove anni di carcere. La notizia ci ha tolto il fiato. E ci siamo chieste il perché. Non siamo per un'idea di giustizia fondata sulla galera eterna, bensì sulla riabilitazione e il reinserimento. Ma a partire da una adeguata espiazione della colpa».
«Parolisi - sostengono in un altro passaggio della lettera - avrebbe dovuto scontare la condanna all'ergastolo, pena ridotta a trent'anni in Appello e a venti in Cassazione. Noi vogliamo che la pena detentiva sia commisurata alla gravità del reato e che la durata sia certa e indefettibile e, soprattutto, che non per tutti i reati si possa applicare il beneficio della liberazione anticipata. Che giustizia è quella che dopo appena nove anni di carcere sancisce che il condannato ha maturato i requisiti necessari per ottenere di uscire senza che abbia mai, in questi anni, dato segni di ravvedimento? Quale giustizia per quella bambina, sottratta per legge alla potestà paterna, ma esposta alle cronache sul rilascio del padre assassino?».
«Ci auguriamo - prosegue - che i benefici previsti dall'ordinamento giudiziario non siano quindi assegnati in automatico. Niente è neutro, nella società, e ai giudici decisori ci piace far arrivare il messaggio che non riusciamo ad apprezzare decisioni "neutre" che trattano, con eguale misura, componenti socialmente diseguali».