Melania, svelato lo stemma che accusa il marito Parolisi

14 Ottobre 2012

Il simbolo degli “alpini guastatori” acquisito dal giudice Tommolini: è identico alle ferite su Melania. Il nuovo indizio entrato a sorpresa nel processo che sta per finire

TERAMO. E’ diventato un atto del fascicolo processuale. Significa che rappresenta un dato utilizzabile ai fini della decisione, certamente non l’unico. I tecnicismi giuridici sostanziano realtà e illuminano zone d’ombra. La simbologia delle truppe alpine guastatori, così come il giudice appunta sul foglio, entra nel processo a carico di Salvatore Parolisi, il caporal maggiore dell’esercito unico imputato per l’omicidio della moglie Melania Rea. Segni di identificazione tra militari, che ai più non dicono nulla, ma che per il magistrato potrebbero ricordare quelli che l’assassino ha inciso sul corpo della vittima nel tentativo di depistare le indagini.Il gup Marina Tommolini li ha inseriti a sorpresa al termine dell’udienza del 19 settembre, dopo una giornata scandita dallo scontro dei periti sull’ora della morte. Per capire il perchè bisognerà aspettare la sentenza, ma è evidente che il giudice, che nel nostro ordinamento è peritus peritorum, si muove su binari ben definiti. In questo interminabile rito abbreviato giunto ormai alle battute finali ha disposto perizie, fatto fare nuove indagini, riascoltato numerosi testi in un processo indiziario in cui nulla può essere tralasciato. Ogni dubbio chiarito, ogni ambiguità dissolta per una sentenza di condanna o assoluzione. Oltre ogni ragionevole dubbio. In assenza di una prova scientifica che dia certezze sull’ora della morte, soprattutto quando anche pochi minuti possono cambiare la scena di un delitto, l’impianto accusatorio si innalza su attività investigative, testimonianze e collegamento di eventi: il tutto secondo un procedimento che parte da un’intuizione e cerca la conferma mediante un ragionamento logico deduttivo. Per la procura l’assassino è Parolisi: è lui che ha ucciso la moglie nel bosco di Ripe. Un delitto d’impeto, non premeditato, maturato forse al termine di un litigio: il caporal maggiore aveva promesso alla sua soldatessa amante che quel fine settimana l’avrebbe raggiunta ad Amalfi per conoscere i suoi genitori, le aveva detto che si stava separando da Melania. Ma in realtà non c’era nessuna separazione. Quando racconta che i1 18 aprile ha portato moglie e figlia sul pianoro di Colle San Marco per l’accusa mente. Lo fa per costituirsi un alibi, per sviare le indagini. E’ questo, sostiene la procura facendo riferimento a numerosi pronunciamenti della Cassazione, è qualcosa di più di un indizio.Quel giorno sul pianoro ascolano nessuno li ha visti. Nemmeno quei ragazzi che alle 15 scattano delle fotografie alle altalene, nemmeno la mamma di Ascoli che in quel momento sta facendo dondolare la sua bimba. I tabulati telefonici accertano che a quell’ora Melania è nel bosco: il suo cellulare aggancia sempre la cella di Ripe, una sola volta quella che si trova vicino al pianoro di Colle San Marco. In quei minuti guarda in faccia il suo assassino.

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