Quando Pasolini mangiava scrippelle e girava sul Corso
Il poeta-regista a Teramo raccontato da Limoncelli Cenava al Cantinone e non amava il mare di Alba
TERAMO. «Ci sediamo al tavolo, davanti alle tentazioni della cucina abruzzese: ci sono le scr'pell' 'mbuss', pacchetti di pasta con dentro del formaggio, pasta dolcemente ottusa e formaggio dolcemente acuto, dentro un brodo dorato». Tutto vai a pensare ipotizzando l’autore della descrizione enogastronomica, fuorché si tratti di Pier Paolo Pasolini. Cosa hanno a che fare le scrippelle con una delle penne simbolo del neorealismo italiano? In realtà il regista del “Fiore delle mille e una notte” con Teramo ha avuto un rapporto controverso. Tanti amici, ma anche tanti nemici che non esitavano a contrastare qualsiasi iniziativa culturale che implicasse la partecipazione del «pederasta». Parlava così di lui, pubblicamente, Lorenzo Di Poppa insegnante e poi preside dell’istituto Comi, figura culturale talmente in vista all’inizio degli anni Sessanta, da riuscire ad annullare l’invito a Pasolini in occasione del Giugno teramano. In realtà, la sua prima visita a Teramo fu solo rimandata. È lo stesso regista a parlare di questo episodio su un articolo del Giorno datato 8 gennaio del 1961. «Ero stato invitato quest'estate in occasione del Premio Teramo», si legge sul racconto della domenica che parla anche delle scrippelle, «a tenere una conversazione critica: e il dicitore Comello avrebbe letto delle mie poesie. All'ultimo momento, però, tutto è stato liquidato. I fascisti si sono opposti alla mia venuta, e l'hanno spuntata».
Ma la tenacia di Pasquale Limoncelli è stata più forte di qualsiasi contrasto ideologico. Operatore culturale, gallerista, segretario della Fgci negli anni che precedettero la “rivoluzione” sessantottina, poi anima critica della sinistra per anni, Limoncelli fu il vero artefice della prima visita di Pasolini in città, il 12 dicembre 1960, insieme ad alcuni amici. Il libro “Impegno e ostracismo: una vita” scritto proprio dal teramano ripropone molte belle foto dell’epoca. È rimasta famosa quella di Beppe Monti in cui il poeta-regista passeggia per corso San Giorgio, dopo una cena al Cantinone ora della famiglia Pompa, all’epoca di Mimmo Pirocchi. Sullo sfondo, la Standa – simbolo del progresso – che, per volontà dell’amministrazione guidata da Carino Gambacorta, aveva sostituito il teatro Comunale ottocentesco, fatto abbattere con buona pace delle compagnie e degli autori dell’epoca. Pasolini è al centro dello scatto, nel punto proprio dove oggi c’è l’Oviesse. Ai suoi lati, oltre a Limoncelli, l’astronomo Piero Tempesti, Gabriele De Laurentis, Tommaso Ersoni, Giovanni Cicconi (figlio del proprietario dell’allora caffè Aquila d’Oro) e Vincenzo Rofi, preside del liceo artistico. Facendo sue le riflessioni dei suoi nuovi amici, il poeta scriverà di Teramo come di una città in cui «i cattolici e i fascisti qui vivono un particolare idillio». Quella giornata, storica per gli amanti di Pasolini finì a Giulianova. «È, intorno, una specie di sepolcro novecento aperto sul mare: tutto - tettoie, muri, case, bar, stabilimenti - pare depositato dalle mareggiate dell'estate defunta». Giudizi impietosi anche nei confronti dell’Aquila, dove si faceva fatica a trovare anche un po’ di latte e un po’ di benzina. Così come del Gran Sasso: «Noioso come tutti i ghiacciai». Qualche anno dopo, all’epoca del “Vangelo secondo Matteo”, si è trovato a parlare di Alba Adriatica, in termini anche peggiori: «Una palude in cui non voglio più tornare». E invece nel Teramano tornò altre volte, sempre grazie a Limoncelli, anche in occasione del premio di Mazzacurati. Accanto a lui, spesso si intravedevano i ricci di Ninetto Davoli.
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