l'interrogatorio

Teramo, banda della cocaina, il costruttore nega

L’aquilano D’Alessandro al gip: «Non c’entro niente, la Lamborghini l’ho prestata ma non so cosa ci hanno fatto»

TERAMO. «Non c’entro niente. La Lamborghini non era disposizione di nessuno, l’ho prestata solo qualche volta ma non so che cosa ci facevano. Le assunzioni? Tutte regolari». Parla e si discolpa il 43enne costruttore aquilano Walter D’Alessandro. Lo fa per tre quarti d’ora davanti al gip dell’Aquila Romano Gargarella: tanto dura l’interrogatorio di garanzia in cui l’uomo coinvolto nella maxi operazione antidroga respinge le pesanti accuse della procura distrettuale antimafia che gli contesta l’associazione a delinquere con altre sette persone. «Ha risposto alle domande, ha chiarito, abbiamo presentato della documentazione», dice il suo avvocato Vincenzo Calderoni, «ho chiesto la revoca della misura e ora aspettiamo le decisioni del giudice». D’Alessandro è ai domiciliari, lo è da sabato scorso quando si è presentato ai carabinieri del capoluogo per costituirsi: quando all’alba di una settimana fa è scattato il blitz era all’estero in vacanza.

Perchè per il giudice, così scrive a pagina 250 dell’ordinanza cautelare, «la posizione del D’Alessandro è la più complessa: egli è il finanziatore dell’associazione ed è il fornitore dei mezzi utilizzati per il trasporto (addirittura anche una Lamborghini Gallardo) ed è partecipe dell’associazione in quanto è in grado di fornire un’apparenza di lavoro subordinato regolare in favore dei sodali, fittiziamente impiegati presso società a lui riconducibili». Non ha solo la Lamborghini, ma anche uno yacht ormeggiato all’estero e ora sequestrato insieme alla macchina. Sullo sfondo le tante denunce di maltrattamento presentate dall’ex moglie che nella corposa ordinanza il giudice inanella nelle pagine 247 e 248, quasi a voler delineare la personalità dell’uomo. «Maltrattava la coniuge picchiandola in plurime occasioni per futili motivi», scrive, «minacciandola continuamente di morte, dicendole che l’avrebbe uccisa, picchiata, offendendola an che asserendo che sarebbe andato a vivere in compagnia della sua amante».

E ancora a pagina 248: «Si impossessava del telefonino della moglie controllando alcuni messaggi pervenuti alla donna da alcuni amici, minacciando la stessa che avrebbe fatto prelevare gli autori dei messaggi per avere spiegazioni e anche in questa occasione la donna veniva schiaffeggiata sul volto e successivamente cacciata di casa, rimanendo fuori dall’abitazione sino a sera e riuscendo a rientrare solo dopo l’intervento della polizia». E il giudice si sofferma sul caso dell’uomo arrivato a cedere la sua abitazione alla donna che negli atti viene descritta come «l’amante di D’Alessandro» con la convinzione che in questo modo avrebbe ottenuto la cessione quotidiana di droga, episodio per cui il costruttore, la donna e i due fratelli albanesi arrestati sono accusati anche di estorsione. Scrive il gip Gargarella a pagina 251 dell’ordinanza: «La fattispecie in esame pare avere taluni elementi costitutivi del reato di estorsione, taluni della circonvenzione di incapaci, taluni della truffa, senza però concretare compiutamente nessuno degli stessi. Però il fatto che non si ravvisi il reato contestato non vuol dire che la vicenda non sia giuridicamente rilevante: difatti il comportamento degli indagati sta a testimoniare la loro mancanza di scrupoli e la perseveranza nel perseguire il profitto dei reati di spaccio di sostanza stupefacente da loro posto in essere e, di conseguenza, ne aggrava la notevole pericolosità sociale».

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