Abruzzo, disoccupazione record

24 Settembre 2010

Nel 2º trimestre tocca il 9,4%, il dato peggiore degli ultimi cinque anni

PESCARA. Mai l'Abruzzo era sceso così in basso, come numero di occupati, dal 2005 a oggi (485mila), e mai il tasso di disoccupazione era stato così alto (9,4%). Certo, i dati del 2º trimestre 2010 diffusi ieri dall'Istat, se confrontati con lo stesso periodo del 2009, danno una sostanziale tenuta del sistema. Ma non è così. Perché quel confronto è con i mesi del terremoto, i peggiori degli ultimi anni. L'Abruzzo è invece una regione in forte affanno sul lato accupazionale, come spiega l'economista Giuseppe Mauro. «Ciò che emerge dai dati Istat è che il legame che esiste tra la ripresa, sia pure lenta, timida e incerta, e l'occupazione non è molto forte»», dice Mauro.

Per quali motivi?
«Il primo e più importante è che di fronte alla caduta della domanda dei consumi, che è stata molto forte, e di fronte al ristagno degli investimenti e del fatturato, che è stato pesante e intenso, il ripristino di percorsi occupazionali di una certa entità è difficile. Il secondo motivo, che vale per le medie imprese, è che la ripresa è concentrata nell'export e non è diffusa nel territorio. Dunque viene percepita ancora in maniera fragile e non stabile. Di conseguenza le aspettative non sono ottimistiche. Resta una grande incertezza che non spinge le famiglie a consumare né le imprese a investire. Certo, le imprese più attente, attrezzate e lungimiranti stanno cercando di afferrare la ripresa piena, portando avanti politiche di ristrutturazione produttiva. Ma si tratta di interventi che rendono gli impianti più efficienti ma meno bisognosi, nel medio periodo, di manodopera».

Che riflessi può avere questo balzo in avanti della disoccupazione?
«La disoccupazione produce innanzitutto costi alti che non sono distribuiti in modo omogeneo. Riduce la quantità di beni a disposizione della collettività e abbassa il livello di benessere, colpendo soprattutto quelle famiglie che non possono attingere al risparmio. Un costo alto che pagano soprattutto le fasce meno protette, giovani e donne, che non riescono a entrare nel mercato del lavoro. In questa situazione si riscontra anche un'assenza di liquidità. Mi ha colpito uno studio fatto da Sintesi dove emerge che l'Abruzzo è al 5º posto in Italia come rischio di sovraindebitamento delle famiglie, laddove il confronto viene fatto tra la liquidità (cioè reddito percepito e deposito) e debiti».

Perché l'Abruzzo fatica così tanto rispetto alle altre regioni del centronord?
«Com'è noto in Abruzzo c'è una crisi nella crisi, terremoto più crisi finanziaria. Questi due aspetti colpiscono soprattutto il settore industriale. E vediamo che mentre rispetto al 1º trimestre nel Centronord c'è un mantenimento sostanziale della posizione occupazionale, l'Abruzzo perde 4-5mila posti, con una perdita concentrata nel settore industriale. Se noi dovessimo fare un confronto con i mesi prima della grande crisi del 2008, oggi constatiamo che ci sono 30mila occupati in meno, di cui la metà sono concentrati nel settore industriale».

Che fare allora?

«Io insisto su una cosa: non possiamo fare affidamento solo sulla ripresa congiunturale, che pure è importante. E' invece necessario aggredire con le poche risorse che abbiamo i nodi strutturali, quindi riaprire il capitolo della crescita economica che è stato trascurato. L'impressione è però che sia venuta meno quella connessione tra famiglie, imprese e soggetti istituzionali che prima si muoveva in direzione dello sviluppo e del soddisfacimento dei bisogni collettivi. Oggi questo soggetto collettivo che dovrebbe avere un'agenda, dei temi prioritari, degli obiettivi, non è più collegato e tutto si fa muovendo in un'ottica particolaristica».

Qui dovrebbe muoversi la Regione.
«Queste nuove sfide che vengono lanciate dal mercato, come la diffusione di un nuovo paradigma fatto di tecnologia, cultura e servizi, imporrebbe un'agenda economica non solo nel breve periodo ma anche nel medio e lungo periodo. Intendiamoci, il rigore è necessario, come l'esigenza di eliminare gli sprechi, però bisogna dare centralità alla crescita economica. Manca però un disegno organico, mancano obiettivi da indicare alla comunita in modo che si possa diffondere ottimismo».

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