Angelini, nove tangenti pagate ad Aracu
Quasi un milione di euro in 14 mesi. Il parlamentare gli disse: in Abruzzo comando io
PESCARA Nove tangenti in poco più di un anno, per un totale di 980 mila euro, culminate nell’abnorme richiesta di due milioni di euro, davanti alla quale Vincenzo Angelini non solo sbotta in un “vaffa” ormai agli atti, ma si rivolge direttamente a Roma, ai vertici nazionali di Forza Italia, affinché Sabatino Aracu allenti la pressione su di lui.
NOVE MAZZETTE Nove mazzette, quasi tutte datate 2004, quando al governo regionale c’è il centrodestra guidato da Giovanni Pace e Aracu - sostengono gli inquirenti - esercita «uno stretto controllo» sull’assessore regionale alla sanità Vito Domenici e sul direttore generale della Asl di Chieti Luigi Conga.
Agli inizi di quell’anno, è la tesi della procura, Conga impone ad Angelini di andare a parlare con Aracu, il suo capo, dal quale il manager dipende «direttamente e totalmente». Quando Angelini si reca a casa di Aracu a Pescara, il deputato - secondo gli inquirenti - gli ricorda che è lui a comandare in Abruzzo, che Conga gli è totalmente asservito e che il titolare di Villa Pini, appaltatore di servizi nei cui confronti sono in corso procedimenti penali e controversie, rischia di soccombere.
Il parlamentare si vanta del fatto che i “suoi” alla Regione si sono dati da fare per sistemare la prima cartolarizzazione in senso favorevole a Villa Pini. E’ la presunta truffa da 33 milioni di euro, per la quale due giorni fa il gip ha disposto il sequestro della casa di cura, di altri sette immobili, cinque auto e titoli obbligazionari per 5 milioni dell’imprenditore.
I PAGAMENTI Aracu, è la tesi dei pm, si spiana così la strada al pagamento delle tangenti, che Angelini versa per lungo tempo senza battere ciglio. Eccole, allora, nel dettaglio, in base alla ricostruzione degli inquirenti: Angelini preleva dal conto corrente 150 mila euro il 4 febbraio 2004; 50 mila il 24 febbraio successivo; 100 mila il 10 marzo; altri 80 mila il 31 marzo.
Poi, l’8 aprile il prelievo è di 120 mila euro: dunque, mezzo milione in appena due mesi. Ma non finisce qui: il 20 maggio 2004, Angelini consegna altri 80 mila euro; il 9 giugno 50 mila. Non vi sono altri versamenti fino al 1-2 dicembre di quell’anno, quando l’imprenditore paga 150 mila euro. L’ultima tangente, la più sostanziosa, è quella da 200mila euro del 19 aprile 2005, quando al timone della Regione è già salito il centrosinistra.
Tutti versamenti rigorosamente in contanti, come confermato successivamente dall’ex moglie di Aracu, Maria Maurizio, che scopriva «pacchi di banconote» nella cassaforte di casa dopo ogni visita di Angelini. Il quale, dice l’accusa, regalava anche gioielli e orologi di valore.
GLI INTERROGATORI Quando, giusto tre anni dopo, Angelini si siede davanti ai magistrati di Sanitopoli e racconta come quelli di «centrosinistra mi hanno ucciso» con le loro richieste di tangenti, lascia parcheggiati nella memoria quei nove versamenti.
Apre un ombrello sopra Aracu e lo mantiene saldo anche quando, a settembre 2008, incalzato durante l’incidente probatorio in cui cristallizza in vista del processo le accuse che hanno fatto cadere la giunta regionale guidata da Ottaviano Del Turco, ribadisce che «no», dall’ex coordinatore regionale di Forza Italia non ha mai ricevuto richieste di soldi.
Ha ricevuto, dice, solo quella telefonata a piazza Salotto, quella richiesta da due milioni di euro di Aracu per acquistare la casa al figlio che pare più che altro una boutade, un elemento di folklore difficile per la procura da sostenere in dibattimento, perché si tratta della parola dell’uno contro quella dell’altro e non ha il supporto di altri elementi di prova.
IL MEMORIALE Almeno così fa credere ai pm per mesi Angelini, la cui tenacia nel negare di avere pagato tangenti ad Aracu viene messa a dura prova dal memoriale pieno di dettagli con cui Maria Maurizio - all’inizio di maggio di quest’anno - presenta il conto, salato assai, all’ex marito. E lo scenario si ribalta.
Quel tentativo di concussione telefonica, che la procura fissa tra il marzo e il maggio del 2005, vero o no che sia, è il punto finale di una serie di versamenti, come rivela la Maurizio, sulla cui attendibilità sarà il gup a valutare, ma che intanto ha l’effetto di aggravare seriamente la posizione del deputato Pdl. Perché Angelini, messo alle strette dalla procura e in piena bagarre-rimborsi con l’amministrazione regionale di centrodestra in carica da dicembre 2008, cambia idea. Chiude l’ombrello protettivo e lascia che su Aracu piovano accuse pesantissime.
NOVE MAZZETTE Nove mazzette, quasi tutte datate 2004, quando al governo regionale c’è il centrodestra guidato da Giovanni Pace e Aracu - sostengono gli inquirenti - esercita «uno stretto controllo» sull’assessore regionale alla sanità Vito Domenici e sul direttore generale della Asl di Chieti Luigi Conga.
Agli inizi di quell’anno, è la tesi della procura, Conga impone ad Angelini di andare a parlare con Aracu, il suo capo, dal quale il manager dipende «direttamente e totalmente». Quando Angelini si reca a casa di Aracu a Pescara, il deputato - secondo gli inquirenti - gli ricorda che è lui a comandare in Abruzzo, che Conga gli è totalmente asservito e che il titolare di Villa Pini, appaltatore di servizi nei cui confronti sono in corso procedimenti penali e controversie, rischia di soccombere.
Il parlamentare si vanta del fatto che i “suoi” alla Regione si sono dati da fare per sistemare la prima cartolarizzazione in senso favorevole a Villa Pini. E’ la presunta truffa da 33 milioni di euro, per la quale due giorni fa il gip ha disposto il sequestro della casa di cura, di altri sette immobili, cinque auto e titoli obbligazionari per 5 milioni dell’imprenditore.
I PAGAMENTI Aracu, è la tesi dei pm, si spiana così la strada al pagamento delle tangenti, che Angelini versa per lungo tempo senza battere ciglio. Eccole, allora, nel dettaglio, in base alla ricostruzione degli inquirenti: Angelini preleva dal conto corrente 150 mila euro il 4 febbraio 2004; 50 mila il 24 febbraio successivo; 100 mila il 10 marzo; altri 80 mila il 31 marzo.
Poi, l’8 aprile il prelievo è di 120 mila euro: dunque, mezzo milione in appena due mesi. Ma non finisce qui: il 20 maggio 2004, Angelini consegna altri 80 mila euro; il 9 giugno 50 mila. Non vi sono altri versamenti fino al 1-2 dicembre di quell’anno, quando l’imprenditore paga 150 mila euro. L’ultima tangente, la più sostanziosa, è quella da 200mila euro del 19 aprile 2005, quando al timone della Regione è già salito il centrosinistra.
Tutti versamenti rigorosamente in contanti, come confermato successivamente dall’ex moglie di Aracu, Maria Maurizio, che scopriva «pacchi di banconote» nella cassaforte di casa dopo ogni visita di Angelini. Il quale, dice l’accusa, regalava anche gioielli e orologi di valore.
GLI INTERROGATORI Quando, giusto tre anni dopo, Angelini si siede davanti ai magistrati di Sanitopoli e racconta come quelli di «centrosinistra mi hanno ucciso» con le loro richieste di tangenti, lascia parcheggiati nella memoria quei nove versamenti.
Apre un ombrello sopra Aracu e lo mantiene saldo anche quando, a settembre 2008, incalzato durante l’incidente probatorio in cui cristallizza in vista del processo le accuse che hanno fatto cadere la giunta regionale guidata da Ottaviano Del Turco, ribadisce che «no», dall’ex coordinatore regionale di Forza Italia non ha mai ricevuto richieste di soldi.
Ha ricevuto, dice, solo quella telefonata a piazza Salotto, quella richiesta da due milioni di euro di Aracu per acquistare la casa al figlio che pare più che altro una boutade, un elemento di folklore difficile per la procura da sostenere in dibattimento, perché si tratta della parola dell’uno contro quella dell’altro e non ha il supporto di altri elementi di prova.
IL MEMORIALE Almeno così fa credere ai pm per mesi Angelini, la cui tenacia nel negare di avere pagato tangenti ad Aracu viene messa a dura prova dal memoriale pieno di dettagli con cui Maria Maurizio - all’inizio di maggio di quest’anno - presenta il conto, salato assai, all’ex marito. E lo scenario si ribalta.
Quel tentativo di concussione telefonica, che la procura fissa tra il marzo e il maggio del 2005, vero o no che sia, è il punto finale di una serie di versamenti, come rivela la Maurizio, sulla cui attendibilità sarà il gup a valutare, ma che intanto ha l’effetto di aggravare seriamente la posizione del deputato Pdl. Perché Angelini, messo alle strette dalla procura e in piena bagarre-rimborsi con l’amministrazione regionale di centrodestra in carica da dicembre 2008, cambia idea. Chiude l’ombrello protettivo e lascia che su Aracu piovano accuse pesantissime.