"Angelini sei un buffone". E lui la rincorre
Il re delle cliniche tenta di aggredire una dipendente, la polizia lo blocca. Incontro con infermieri e medici che protestano sul tetto della Santa Maria: «Non ho i soldi»
VIDEO "Angelini buffone" e scoppia la bagarre" FOTO La polizia blocca Angelini
AVEZZANO. Gli occhi stropicciati più delle camicie che indossano. Sguardi accesi e liquidi di chi non dorme da notti. Si intuisce che nell’aria c’è la tensione alimentata dalla disperazione, da sette lunghi mesi senza vedere una busta paga. Gran parte degli 80 dipendenti della casa di cura Santa Maria di Avezzano è in strada quando Vincenzo Angelini, il grande accusatore dell’ex presidente Del Turco, arriva ad Avezzano.
Sono le 14,47 del terzo giorno di protesta. Dal tetto dell’edificio di proprietà della famiglia del «re delle cliniche» si affacciano i cinque che si alternano nella manifestazione. Altri lavoratori sono alle finestre, perché malgrado tutto non interrompono l’assistenza ai pazienti. Angelini prende un megafono. E comincia: «Non posso pagarvi, i soldi non li ho»; «Ci sono altri tetti dove fare le proteste, non sono questi i tetti del potere»; «Stanno emergendo serpenti di ogni genere»; «Le colpe sono della Regione, lì dovete andare a chiedere i soldi»; «Bisogna stanare questa gente». E giù con questo tenore. Così chi si aspettava l’arrivo degli stipendi o almeno di una piccola parte di essi resta deluso. Una donna, ex dipendente Sanatrix, terremotata all’Aquila, inizia a piangere. «Non ce la faccio più», singhiozza, «ho tre figli, avevo chiesto al signor Angelini almeno i soldi per la benzina ma non mi ha neanche risposto».
La tensione cresce. Un’altra donna afferra un piccolo megafono e urla tutta la sua rabbia. Racconta dei figli da mantenere all’università, della mancanza di soldi per acquistare il pane. Angelini replica. La donna gli urla: «Buffone, non rida alla faccia nostra. Si vergogni. Ha messo gente sul tetto». A quel punto il «re delle cliniche» le si lancia incontro, la insegue. La polizia in assetto antisommossa interviene e immobilizza Angelini. Quattro agenti lo tengono fermo, lui cerca di liberarsi. Volano parole grosse. Un ispettore della Digos scatta foto. I minuti di tensione si sommano. Qualcuno batte le mani e invita l’imprenditore a lasciare Avezzano.
La polizia fa fatica a placare gli animi. «Siamo affamati», spiega una dipendente, «pensavamo di essere rassicurati. In questa condizione non è più possibile lavorare. Non abbiamo i soldi per fare la spesa. Sono trascorsi sette mesi, la corda si è spezzata. Se non avremo risposte, mercoledì ci barricheremo in clinica e interromperemo l’attività». Un ultimatum che suona mentre una giovane col pancione varca la porta scorrevole della casa di cura. Partorirà qualche ora dopo. Angelini torna a impossessarsi del megafono. E riprende. Con un messaggio alle forze dell’ordine: «Se siete poliziotti prendete i nomi di chi mi insulta». Poi ai dipendenti: «Sono venuto qui e mi state offendendo, prendendomi a pernacchie».
Quindi entra nella casa di cura, seguito dagli agenti. Al ritorno commenta: «Sono andato a informare l’amministratore della situazione, perché se mercoledì si chiude devo adottare le contromisure tecniche. Abbiamo 170 milioni di debiti con le banche e la Regione ci ha strangolato. Datemi un’altra settimana di tempo per elemosinare crediti alle banche e voi andate a protestare dove si prendono le decisioni. Non vengo pagato da due anni, ma chiudendo la clinica si fa il gioco della Regione. Lo so che siete senza stipendio da sette mesi». Una delle donne sul tetto interviene: «Lo sanno anche i miei figli». Sorrisi amari si stampano sui volti dei manifestanti. Sorrisi come quelli che «regala» Angelini quando chiede un telefonino per contattare il direttore sanitario della clinica, Corrado Paoloni, all’Aquila per incontrare il prefetto. «Non ho portato il mio cellulare, potete prestarmene uno?» chiede ai dipendenti.
I dipendenti in coro: «I nostri telefonini sono senza credito». Sono trascorse due ore di un nebbioso pomeriggio avezzanese ad alta tensione. Nessuna risposta ai problemi. Niente soldi. Angelini sale sulla sua auto. La protesta sul tetto della casa di cura prosegue. Un’altra notte nelle tende, al freddo, con le tasche vuote.
Sono le 14,47 del terzo giorno di protesta. Dal tetto dell’edificio di proprietà della famiglia del «re delle cliniche» si affacciano i cinque che si alternano nella manifestazione. Altri lavoratori sono alle finestre, perché malgrado tutto non interrompono l’assistenza ai pazienti. Angelini prende un megafono. E comincia: «Non posso pagarvi, i soldi non li ho»; «Ci sono altri tetti dove fare le proteste, non sono questi i tetti del potere»; «Stanno emergendo serpenti di ogni genere»; «Le colpe sono della Regione, lì dovete andare a chiedere i soldi»; «Bisogna stanare questa gente». E giù con questo tenore. Così chi si aspettava l’arrivo degli stipendi o almeno di una piccola parte di essi resta deluso. Una donna, ex dipendente Sanatrix, terremotata all’Aquila, inizia a piangere. «Non ce la faccio più», singhiozza, «ho tre figli, avevo chiesto al signor Angelini almeno i soldi per la benzina ma non mi ha neanche risposto».
La tensione cresce. Un’altra donna afferra un piccolo megafono e urla tutta la sua rabbia. Racconta dei figli da mantenere all’università, della mancanza di soldi per acquistare il pane. Angelini replica. La donna gli urla: «Buffone, non rida alla faccia nostra. Si vergogni. Ha messo gente sul tetto». A quel punto il «re delle cliniche» le si lancia incontro, la insegue. La polizia in assetto antisommossa interviene e immobilizza Angelini. Quattro agenti lo tengono fermo, lui cerca di liberarsi. Volano parole grosse. Un ispettore della Digos scatta foto. I minuti di tensione si sommano. Qualcuno batte le mani e invita l’imprenditore a lasciare Avezzano.
La polizia fa fatica a placare gli animi. «Siamo affamati», spiega una dipendente, «pensavamo di essere rassicurati. In questa condizione non è più possibile lavorare. Non abbiamo i soldi per fare la spesa. Sono trascorsi sette mesi, la corda si è spezzata. Se non avremo risposte, mercoledì ci barricheremo in clinica e interromperemo l’attività». Un ultimatum che suona mentre una giovane col pancione varca la porta scorrevole della casa di cura. Partorirà qualche ora dopo. Angelini torna a impossessarsi del megafono. E riprende. Con un messaggio alle forze dell’ordine: «Se siete poliziotti prendete i nomi di chi mi insulta». Poi ai dipendenti: «Sono venuto qui e mi state offendendo, prendendomi a pernacchie».
Quindi entra nella casa di cura, seguito dagli agenti. Al ritorno commenta: «Sono andato a informare l’amministratore della situazione, perché se mercoledì si chiude devo adottare le contromisure tecniche. Abbiamo 170 milioni di debiti con le banche e la Regione ci ha strangolato. Datemi un’altra settimana di tempo per elemosinare crediti alle banche e voi andate a protestare dove si prendono le decisioni. Non vengo pagato da due anni, ma chiudendo la clinica si fa il gioco della Regione. Lo so che siete senza stipendio da sette mesi». Una delle donne sul tetto interviene: «Lo sanno anche i miei figli». Sorrisi amari si stampano sui volti dei manifestanti. Sorrisi come quelli che «regala» Angelini quando chiede un telefonino per contattare il direttore sanitario della clinica, Corrado Paoloni, all’Aquila per incontrare il prefetto. «Non ho portato il mio cellulare, potete prestarmene uno?» chiede ai dipendenti.
I dipendenti in coro: «I nostri telefonini sono senza credito». Sono trascorse due ore di un nebbioso pomeriggio avezzanese ad alta tensione. Nessuna risposta ai problemi. Niente soldi. Angelini sale sulla sua auto. La protesta sul tetto della casa di cura prosegue. Un’altra notte nelle tende, al freddo, con le tasche vuote.