Anoressia, il male di vivere

29 Maggio 2009

Un saggio di De Cristofaro e Ferrante domani a Teramo.

«Peso, quindi esisto. Vorrei esistere anche come persona, pensata, desiderata, amata. Non voglio incrementare un peso scomodo». Parole che ogni genitore non vorrebbe mai trovare nel diario della propria figlia. Pesanti come macigni, queste parole introducono alla lettura di «Vissuti di anoressia».

Il libro è un album di testimonianze di vita accanto all’anoressia, elaborato da Paolo De Cristofaro e Natalina Ferrante, fisiopatologo della nutrizione il primo, psicologa e psicoterapeuta l’altra. Il volume (128 pagine) è appena stato pubblicato dalla casa editrice Tracce di Pescara e sarà presentato, domani alle 9, nella sala conferenze della sede di teramo dell’Ipssact (Istituto professionale di Stato per i servizi alberghieri, commerciali e turistici) Di Poppa.

L’incontro ha l’obiettivo di far conoscere il linguaggio di un «problema sociale emergente» quale è appunto l’anoressia, per dare maggiore efficacia alla prevenzione e all’identificazione precoce del disagio, e per offrire migliori possibilità terapeutiche. «Anche perché senza comprensione del linguaggio, la risposta non c’è o non è appropriata», dice Paolo De Cristofaro, responsabile del Centro di riferimento regionale di Fisiopatologia della nutrizione del presidio di Giulianova della Asl di Teramo, unica struttura pubblica ambulatoriale pluridisciplinare (ossia composta da medici, psicologi e dietisti) in Abruzzo.

Il volume é dedicato a Olga Guaschino, originaria di Silvia, morta a soli 28 anni dopo un lungo calvario iniziato a 14. Paolo De Cristoforo ne parla in questa intervista al Centro.

De Cristofaro, che significato ha la dedica a Olga?
«Olga Guaschino è l’esempio di una ragazza dalle elevate qualità umane, entrata nel tunnel della cronicizzazione. E’ ciò che dovremmo evitare tutti, genitori, insegnanti e operatori sanitari. Il libro vuole essere di monito per le istituzioni che ancora sottovalutano una malattia per la quale muore, e non poco, la nostra migliore gioventù, spesso in modo non sempre riconducibile al problema originario, spesso per incidenti stradali, per suicidi o per complicanze mediche. Tuttavia, oltre alla mortalità, il problema più grave dei disturbi alimentari cronicizzati è l’elevato grado di disabilità che essi comportano. E’ l’individuazione precoce del disagio il miglior metodo di cura su cui ci stiamo battendo da anni inascoltati e, soprattutto, la presenza di una offerta terapeutica pluridisciplinare che garantisca una base sicura e continuativa per la terapia».

In che misura la patologia alimentare interessa l’Abruzzo?
«All’incirca metà della popolazione, dai 18 anni in sù, soffre di un problema nutrizionale o per eccesso o per difetto. Secondo i dati Istat del 2005, si ravvisa un 10% di obesi, un 37% in sovrappeso e un 2.2% sottopeso. Più in particolare, i disturbi interessano la fascia di età compresa tra 10 e 25 anni. Si contano da 216 a 864 casi di anoressia, circa 3200 di bulimia nervosa; tra 4 e 7mila sono i casi attesi di disturbi borderline di instabilità nella personalità. Complessivamente si registrano tra 9 e 12mila casi, e la domanda di cure è in crescita come è confermato dall’andamento nazionale».

Perché l’anoressia mentale è considerato un problema sociale emergente?
«L’anoressia può essere espressione di varie situazioni di blocco evolutivo spesso intrecciate tra loro e relative allo stallo della crescita personale verso l’autonomia, a problematicità intrafamigliari, in cui l’anoressia diventa il marcatore della criticità, all’attuale stallo di una società che si ripiega su se stessa, promuove il senso di inadeguatezza e nega la speranza. Come se fosse una protesta afona all’interno di una società bloccata, senza prospettive da offrire ai giovani, la cosidetta società delle passioni tristi: una tendenza sempre più marcata. Il mito della magrezza e della competitività esprimono, comunque, una condizione di inadeguatezza, senza possibilità di riconoscimento e confronto accettabili. Secondo gli studiosi, l’anoressia esprime ironicamente il paradosso della società opulenta».

Tradizionalmente l’anoressia è identificata come problema femminile interessando il 95% dei casi di ragazze tra 16 e 25 anni.
«Per molto tempo si è guardato al problema come espressione del conflitto o della simbiosi madre-figlia. Oggi, la figura paterna apppare ampiamente rivalutata, con la necessità che tale ruolo sia svolto in pienezza. Molti aspetti della terapia mirano proprio a questo. Laddove manca la costruzione sociale e un riferimento forte e autorevole per la normalità e per l’equilibrio, nascono inadeguatezza e instabilità. Di qui il cattivo uso di diete, fitness, estetica, in cui prevale la visione del corpo come oggetto da modificare e correggere, mentre nessuno aiuta i giovani a dialogare con il proprio corpo».

Che tipo di anoressia esprime quel 5% maschile?
«Si tratta di forme molto complesse, spesso non visibili socialmente. In genere presentano la fissazione per muscoli in evidenza e ventre piatto. Molti si sentono inadeguati ai modelli di virilità propagandati dalla comunicazione di massa e rispondono con atteggiamenti di rinuncia, insoddisfazione per il proprio aspetto, bassa percezione del sè. L’alterazione della postura, il comportamento motorio, l’autismo, o ritiro, sociale sono spesso la spia di turbe psicologiche».

Che aiuto offre la struttura gestita dalla vostra equipe?
«Indichiamo modelli nutrizionali, personalizziamo la cura. A questo uniamo un lavoro di psicoterapia, individuale e familiare. La cura può durare da 6 mesi a 2 anni in media. Trattandosi di un centro territoriale interveniamo attraverso diagnosi molto precoci garantendone la continuità terapeutica. Chiediamo più appoggio alle istituzioni trattandosi di un problema che abbisogna di maggiore rappresentatività a livello regionale. Ogni giorno visitiamo in media 15 casi provenienti da tutto Abruzzo, da soli non ce la possiamo fare».

La presentazione del libro è organizzata insieme alle condotte Slow Food Val Vibrata-Giulianova e Torano Nuovo. Come mai?
«Rinnoviamo una collaborazione intrapresa da tempo con il Patto per la salute, un progetto di educazione a una alimentazione sana e di gusto per il miglioramento degli stili di vita di alunni e famiglie a fronte dei sempre più frequenti disturbi del comportamento alimentare registrati. Nel corso della mattinata di venerdì abbiamo previsto una pausa ricreativa in cui saranno offerti esempi di colazione casalinga e sostenibile, da tutti facilmente riproponibili a casa. Invitiamo anche genitori e insegnanti a partecipare».