Bollani, note senza confini
«La musica ci aiuta a superare le difficoltà con le emozioni che suscita».
«L’ultima volta che sono stato a suonare all’Aquila è stato nel settembre dell’anno scorso. Ci vado regolarmente per i concerti della Società Barattelli. Dopo il terremoto dell’aprile scorso, invece, non ho avuto occasione di tornarci e quindi sono molto curioso di andare a vedere cosa è accaduto. Naturalmente ho seguito costantemente la situazione tramite la televisione e i giornali ma non ho, in città, altri contatti se non attraverso gli amici della Società Barattelli. E poi, andare di persona sul posto è tutta un’altra cosa».
Stefano Bollani spiega così, al Centro, le sue sensazazioni poche ore prima del concerto che terrà stasera, alle 21, nell’anfiteatro romano di Amiternum.
La serata è inserita nella manifestazione Campi sonori organizzata dal ministero per i Beni Culturali e dal Dipartimento della Protezione civile nazionale. Il concerto sarà trasmesso in diretta su Radiouno (presentato da Gianmaurizio Foderaro).
Lei si è esibito da poco a Pescara, che programma porta all’Aquila?
«Nessun programma nel senso che a Pescara ho suonato con i miei amici musicisti brasiliani per “Carioca”. All’Aquila sarò solo e sceglierò il repertorio lì per lì. Arrivo nel pomeriggio e solo allora penserò a cosa eseguire nella serata, facendomi guidare da ciò che vedrò».
Sono note da tempo le capacità psicoterapeutiche della musica. Quanto servono in momenti come questo?
«Enormemente, non posso che parlare per esperienza personale. Io ho iniziato a suonare a 6 anni e la musica è la cosa che da sempre mi tira su. E’ una delle armi che abbiamo a disposizione, anche se tante volte non ce ne rendiamo conto. La musica serve per emozionarti in maniera diversa, per ricordarti che la tua gamma di emozioni è amplissima».
Lei è un musicista sicuramente fuori dall’ordinario, nel senso etimologico del termine. Quali limiti ha la musica occidentale oggi?
«Se vogliamo usare un termine orribile possiamo dire che la musica da sempre si contamina, preferisco dire che da sempre la musica, le musiche si incontrano e si scontrano e fanno nascere cose che prima non c’erano. E’ da sempre un prototipo di società ideale, ognuno mantiene la propria differenza ma la fa confluire in qualcos’altro. Non trovo che sia arrivata ai suoi limiti. Se così fosse dovremmo smettere tutti, ma anche di scrivere romanzi e di fare quadri. Schönberg diceva: “C’è ancora tanta bella musica da scrivere in do maggiore”. E lo diceva uno che stava scardinando il sistema tonale. No, io credo che anzi, soprattutto adesso, con le barriere che stanno finalmente crollando tutte e che con Internet possiamo arrivare dappertutto, il superamento di tutte le divisioni porterà a nuove rivoluzioni. Poi, cosa stia accadendo adesso non lo so, credo che nemmeno i Beatles sapessero, mentre lo facevano, come stavano rivoluzionando la musica».
Stefano Bollani spiega così, al Centro, le sue sensazazioni poche ore prima del concerto che terrà stasera, alle 21, nell’anfiteatro romano di Amiternum.
La serata è inserita nella manifestazione Campi sonori organizzata dal ministero per i Beni Culturali e dal Dipartimento della Protezione civile nazionale. Il concerto sarà trasmesso in diretta su Radiouno (presentato da Gianmaurizio Foderaro).
Lei si è esibito da poco a Pescara, che programma porta all’Aquila?
«Nessun programma nel senso che a Pescara ho suonato con i miei amici musicisti brasiliani per “Carioca”. All’Aquila sarò solo e sceglierò il repertorio lì per lì. Arrivo nel pomeriggio e solo allora penserò a cosa eseguire nella serata, facendomi guidare da ciò che vedrò».
Sono note da tempo le capacità psicoterapeutiche della musica. Quanto servono in momenti come questo?
«Enormemente, non posso che parlare per esperienza personale. Io ho iniziato a suonare a 6 anni e la musica è la cosa che da sempre mi tira su. E’ una delle armi che abbiamo a disposizione, anche se tante volte non ce ne rendiamo conto. La musica serve per emozionarti in maniera diversa, per ricordarti che la tua gamma di emozioni è amplissima».
Lei è un musicista sicuramente fuori dall’ordinario, nel senso etimologico del termine. Quali limiti ha la musica occidentale oggi?
«Se vogliamo usare un termine orribile possiamo dire che la musica da sempre si contamina, preferisco dire che da sempre la musica, le musiche si incontrano e si scontrano e fanno nascere cose che prima non c’erano. E’ da sempre un prototipo di società ideale, ognuno mantiene la propria differenza ma la fa confluire in qualcos’altro. Non trovo che sia arrivata ai suoi limiti. Se così fosse dovremmo smettere tutti, ma anche di scrivere romanzi e di fare quadri. Schönberg diceva: “C’è ancora tanta bella musica da scrivere in do maggiore”. E lo diceva uno che stava scardinando il sistema tonale. No, io credo che anzi, soprattutto adesso, con le barriere che stanno finalmente crollando tutte e che con Internet possiamo arrivare dappertutto, il superamento di tutte le divisioni porterà a nuove rivoluzioni. Poi, cosa stia accadendo adesso non lo so, credo che nemmeno i Beatles sapessero, mentre lo facevano, come stavano rivoluzionando la musica».