I pm: «Aracu va arrestato». Il gip dice no
La richiesta risale a 3 mesi fa: per il giudice indizi gravi, ma esigenze cautelari cessate.
PESCARA. Arrestare il deputato Sabatino Aracu. Era questa richiesta, avanzata dalla procura tre mesi fa al gip, la chiusura del cerchio dell’inchiesta sulla sanità. Ieri il giudice ha rigettato l’istanza.
Con la firma su un corposo provvedimento in cui si analizzano in dettaglio le accuse mosse dai magistrati titolari dell’inchiesta - il procuratore capo Nicola Trifuoggi e i sostituti Giuseppe Bellelli e Giampiero Di Florio - il giudice Maria Michela Di Fine ha detto no all’arresto richiesto il 5 agosto scorso: le esigenze cautelari, sostiene, sono venute meno. Per la procura, il deputato del Pdl sarebbe responsabile dei reati di associazione per delinquere finalizzata a deviare e condizionare l’attività amministrativa della Regione in campo sanitario, di abuso, truffa, concussione continuata e di peculato.
Di più: l’ex coordinatore regionale di Forza Italia e presidente della Federazione italiana di pattinaggio, sarebbe stato uno dei promotori, assieme a Giancarlo Masciarelli e Vito Domenici, dell’associazione per delinquere di cui avrebbero fatto parte anche l’ex governatore Giovanni Pace con Vincenzo Trozzi, Mario Romano, Vincenzo Maria Angelini, Luigi Conga, Pierluigi Cosenza, Pietro Anello, Antonio Boschetti. Secondo l’accusa, Aracu avrebbe intascato direttamente da Angelini 980 mila euro: il doppio, quindi, della cifra indicata a giugno dal re della sanità privata (500 mila euro). Non solo: a lui sarebbero riconducibili anche i soldi che sarebbero stati incassati dall’ex manager della Asl di Chieti Conga, in virtù delle presunte «capacità di intimidazione» del parlamentare. Le «gravissime condotte» di Aracu, argomenta il pool, non si sarebbero cristallizzate nel passato: sarebbero proseguite in tempi più recenti, evidenziando il rischio che i reati potessero essere reiterati.
Per il gip Di Fine, il deputato del Pdl sarebbe responsabile di «fatti gravi» non solo per l’entità del profitto, ma anche per «le modalità di esecuzione delle condotte». Dunque, «gravi indizi» a carico dell’indagato esisterebbero. Tuttavia, il lungo tempo trascorso dall’epoca in cui gli atti illeciti sarebbero stati commessi, tra il 2003 e il 2005, non giustifica l’arresto. Le ragioni delle decisioni adottate nei confronti di altri co-imputati all’epoca dell’esplosione dello scandalo, spiega Di Fine, sono state superate e gli stessi arresti hanno disgregato la presunta organizzazione criminale. Sebbene gravi, i reati di concussione e truffa, alla luce dell’ulteriore tempo trascorso, spiega il giudice, non possono costituire «elemento utile» per l’applicazione della misura cautelare nei confronti di Aracu.
E i nuovi fatti evidenziati dai pm (legati in particolare alla Federazione pattinaggio) anche se importanti, sottolinea il gip, non sono collegati alla vicenda della sanità. Dunque, niente arresto.
Se, al contrario, la richiesta fosse stata accettata, gli atti avrebbero dovuto essere inviati alla Camera per l’autorizzazione a procedere.
Con la firma su un corposo provvedimento in cui si analizzano in dettaglio le accuse mosse dai magistrati titolari dell’inchiesta - il procuratore capo Nicola Trifuoggi e i sostituti Giuseppe Bellelli e Giampiero Di Florio - il giudice Maria Michela Di Fine ha detto no all’arresto richiesto il 5 agosto scorso: le esigenze cautelari, sostiene, sono venute meno. Per la procura, il deputato del Pdl sarebbe responsabile dei reati di associazione per delinquere finalizzata a deviare e condizionare l’attività amministrativa della Regione in campo sanitario, di abuso, truffa, concussione continuata e di peculato.
Di più: l’ex coordinatore regionale di Forza Italia e presidente della Federazione italiana di pattinaggio, sarebbe stato uno dei promotori, assieme a Giancarlo Masciarelli e Vito Domenici, dell’associazione per delinquere di cui avrebbero fatto parte anche l’ex governatore Giovanni Pace con Vincenzo Trozzi, Mario Romano, Vincenzo Maria Angelini, Luigi Conga, Pierluigi Cosenza, Pietro Anello, Antonio Boschetti. Secondo l’accusa, Aracu avrebbe intascato direttamente da Angelini 980 mila euro: il doppio, quindi, della cifra indicata a giugno dal re della sanità privata (500 mila euro). Non solo: a lui sarebbero riconducibili anche i soldi che sarebbero stati incassati dall’ex manager della Asl di Chieti Conga, in virtù delle presunte «capacità di intimidazione» del parlamentare. Le «gravissime condotte» di Aracu, argomenta il pool, non si sarebbero cristallizzate nel passato: sarebbero proseguite in tempi più recenti, evidenziando il rischio che i reati potessero essere reiterati.
Per il gip Di Fine, il deputato del Pdl sarebbe responsabile di «fatti gravi» non solo per l’entità del profitto, ma anche per «le modalità di esecuzione delle condotte». Dunque, «gravi indizi» a carico dell’indagato esisterebbero. Tuttavia, il lungo tempo trascorso dall’epoca in cui gli atti illeciti sarebbero stati commessi, tra il 2003 e il 2005, non giustifica l’arresto. Le ragioni delle decisioni adottate nei confronti di altri co-imputati all’epoca dell’esplosione dello scandalo, spiega Di Fine, sono state superate e gli stessi arresti hanno disgregato la presunta organizzazione criminale. Sebbene gravi, i reati di concussione e truffa, alla luce dell’ulteriore tempo trascorso, spiega il giudice, non possono costituire «elemento utile» per l’applicazione della misura cautelare nei confronti di Aracu.
E i nuovi fatti evidenziati dai pm (legati in particolare alla Federazione pattinaggio) anche se importanti, sottolinea il gip, non sono collegati alla vicenda della sanità. Dunque, niente arresto.
Se, al contrario, la richiesta fosse stata accettata, gli atti avrebbero dovuto essere inviati alla Camera per l’autorizzazione a procedere.