Onna, ecco i motivi del disastro
Gli esperti: sisma gemello di quello del 1461. Nei muri malta scadente. E gli studiosi ammettono «Sottovalutata la faglia di Paganica»
ONNA. Per prima cosa è stata sfatata una di quelle dicerie che si era diffusa dopo il 6 aprile: il terremoto che ha colpito L’Aquila, la zona di Paganica e Onna (più di tutti gli altri paesi) è gemello del sisma del 1461, non di quello del 1703 che pure distrusse L’Aquila e larga parte del suo circondario. In poche parole ciò che è successo poco più di tre mesi fa accade una volta ogni 500-600 anni.
E per dirla con una battuta che gira su una radio locale mi è venuto da pensare: «E proprio a me stava ad aspettà». Triste, dolorosa ironia. A fornire una chiave di lettura scientifica di quanto successo nella notte che ha cambiato la storia dell’Aquila e dei suoi abitanti sono stati gli esperti della protezione civile nazionale e del Cnr in collaborazione con i tecnici della protezione civile umbra. Per più di due settimane sono stati a Onna (41 vittime e il 90 per cento delle case crollate o da abbattere) e hanno esaminato casa per casa studiando in particolare le modalità di costruzione. Qualche giorno fa hanno informato la popolazione di Onna sui risultati delle loro verifiche. Partiamo dalla storia del terremoto. Ne ha parlato Diego Molin il quale ha fatto notare come la zona di Onna (e quindi tutto l’Aquilano) sia a forte sismicità. E questa non è una gran novità (anche se ce ne siamo accorti dopo e a nostre spese). Per quanto riguarda il paese posto al centro della Conca aquilana, Molin ha fatto notare che un danno (che è pari al nono-decimo grado della Mercalli, la scala che misura le conseguenze delle scosse) come quello del sei aprile può essere accostato a quanto accaduto nel 1461 (anche se la documentazione relativa non è certo molto ricca). E questo conferma indirettamente un appunto che trovai tanti anni fa nell’archivio parrocchiale di Onna in cui con riferimento al sisma del 1703 il prete dell’epoca parlava di una sola vittima e della chiesa parrocchiale rimasta in piedi, cosa che non è accaduta oggi. Anzi, la chiesa parrocchiale quasi certamente fu ricostruita proprio dopo il 1461 (lo testimoniano la facciata, gli affreschi all’interno - alcuni dei quali sono riemersi a seguito dei crolli - e la statua della Madonna della Grazie che risale alla fine del 1400 e che una settimana fa è stata esposta alla visione dei Grandi della Terra).
Che cosa ha causato l’orribile scossone? Lo ha spiegato Paolo Galli il quale ha prima fatto un quadro delle faglie più pericolose che ci sono nella zona (da quella di Campotosto, a quella di Pettino, a quella del Fucino, a quella della Maiella) e poi si è soffermato in particolare sulla faglia di Paganica, la quale, ha ammesso l’esperto, era stata riconosciuta solo in parte e quindi poco studiata. E’ stata proprio quella faglia che il sei aprile si è mossa e l’energia sprigionata partendo da Collebrincioni in direzione Paganica, Onna, San Demetrio, ha provocato quello che è purtroppo ormai noto. Ora quella faglia è all’attenzione degli scienziati i quali a Paganica hanno fatto una sorta di buco di oltre sei metri per verificare con il metodo del carbonio in quali altre epoche si è mossa e come. Insomma sapremo tutto. Per me troppo tardi.
Barbara Montanucci, Elisabetta Aisa e Alessandro De Maria si sono soffermati sulla cosidetta tipologia costruttiva delle case di Onna. Semplifico: erano quasi tutte fatte male. Ma dopo quello che è successo è l’ennesima triste e tardiva constatazione. Molti muri portanti erano composti da pietre piccole legate da malta scadente. Le ristrutturazioni antisismiche degli ultimi venti anni fatte in base alle normative vigenti hanno finito, in alcuni casi, per peggiorare la situazione.
Gianluca Fagotti e Adriano De Sotis hanno aperto qualche spiraglio di speranza: ci sono costruzioni che se pur non fatte benissimo hanno salvato vite umane. E ha concluso: questo significa che Onna può essere ricostruita nello stesso posto. Basta farlo bene con le attuali tecniche costruttive e non necessariamente usando esclusivamente il cemento armato o il legno. Altra semplificazione per capire: la casa deve essere come una scatola, ogni elemento si deve tenere con l’altro. Chi sente il terremoto in una casa di cemento armato (a me è capitato) ha l’impressione di essere in una culla: dondola tutto, non in maniera slegata. E comunque ti dà il tempo di uscire.
Le conclusioni dell’incontro sono state affidate a Giuseppe Naso della Protezione civile e a Franco Papola, presidente della Onna Onlus, che sta seguendo passo passo tutto quanto avviene per il post terremoto.
Papola, in particolare, ha annunciato che i vigili del fuoco, in collaborazione con la protezione civile tedesca, hanno iniziato il lavoro di rimozione delle macerie di Onna e del recupero degli oggetti dentro le case danneggiate. «Un segnale importante» ha detto Papola «il quale ha invitato tutti a lavorare sodo e mettere da parte le polemiche». Erano presenti all’incontro anche l’assessore provinciale dell’Aquila Pio Alleva, l’assessore della Provincia di Perugia Roberto Bertini e per la protezione civile tedesca Andreas Seebacher.
E per dirla con una battuta che gira su una radio locale mi è venuto da pensare: «E proprio a me stava ad aspettà». Triste, dolorosa ironia. A fornire una chiave di lettura scientifica di quanto successo nella notte che ha cambiato la storia dell’Aquila e dei suoi abitanti sono stati gli esperti della protezione civile nazionale e del Cnr in collaborazione con i tecnici della protezione civile umbra. Per più di due settimane sono stati a Onna (41 vittime e il 90 per cento delle case crollate o da abbattere) e hanno esaminato casa per casa studiando in particolare le modalità di costruzione. Qualche giorno fa hanno informato la popolazione di Onna sui risultati delle loro verifiche. Partiamo dalla storia del terremoto. Ne ha parlato Diego Molin il quale ha fatto notare come la zona di Onna (e quindi tutto l’Aquilano) sia a forte sismicità. E questa non è una gran novità (anche se ce ne siamo accorti dopo e a nostre spese). Per quanto riguarda il paese posto al centro della Conca aquilana, Molin ha fatto notare che un danno (che è pari al nono-decimo grado della Mercalli, la scala che misura le conseguenze delle scosse) come quello del sei aprile può essere accostato a quanto accaduto nel 1461 (anche se la documentazione relativa non è certo molto ricca). E questo conferma indirettamente un appunto che trovai tanti anni fa nell’archivio parrocchiale di Onna in cui con riferimento al sisma del 1703 il prete dell’epoca parlava di una sola vittima e della chiesa parrocchiale rimasta in piedi, cosa che non è accaduta oggi. Anzi, la chiesa parrocchiale quasi certamente fu ricostruita proprio dopo il 1461 (lo testimoniano la facciata, gli affreschi all’interno - alcuni dei quali sono riemersi a seguito dei crolli - e la statua della Madonna della Grazie che risale alla fine del 1400 e che una settimana fa è stata esposta alla visione dei Grandi della Terra).
Che cosa ha causato l’orribile scossone? Lo ha spiegato Paolo Galli il quale ha prima fatto un quadro delle faglie più pericolose che ci sono nella zona (da quella di Campotosto, a quella di Pettino, a quella del Fucino, a quella della Maiella) e poi si è soffermato in particolare sulla faglia di Paganica, la quale, ha ammesso l’esperto, era stata riconosciuta solo in parte e quindi poco studiata. E’ stata proprio quella faglia che il sei aprile si è mossa e l’energia sprigionata partendo da Collebrincioni in direzione Paganica, Onna, San Demetrio, ha provocato quello che è purtroppo ormai noto. Ora quella faglia è all’attenzione degli scienziati i quali a Paganica hanno fatto una sorta di buco di oltre sei metri per verificare con il metodo del carbonio in quali altre epoche si è mossa e come. Insomma sapremo tutto. Per me troppo tardi.
Barbara Montanucci, Elisabetta Aisa e Alessandro De Maria si sono soffermati sulla cosidetta tipologia costruttiva delle case di Onna. Semplifico: erano quasi tutte fatte male. Ma dopo quello che è successo è l’ennesima triste e tardiva constatazione. Molti muri portanti erano composti da pietre piccole legate da malta scadente. Le ristrutturazioni antisismiche degli ultimi venti anni fatte in base alle normative vigenti hanno finito, in alcuni casi, per peggiorare la situazione.
Gianluca Fagotti e Adriano De Sotis hanno aperto qualche spiraglio di speranza: ci sono costruzioni che se pur non fatte benissimo hanno salvato vite umane. E ha concluso: questo significa che Onna può essere ricostruita nello stesso posto. Basta farlo bene con le attuali tecniche costruttive e non necessariamente usando esclusivamente il cemento armato o il legno. Altra semplificazione per capire: la casa deve essere come una scatola, ogni elemento si deve tenere con l’altro. Chi sente il terremoto in una casa di cemento armato (a me è capitato) ha l’impressione di essere in una culla: dondola tutto, non in maniera slegata. E comunque ti dà il tempo di uscire.
Le conclusioni dell’incontro sono state affidate a Giuseppe Naso della Protezione civile e a Franco Papola, presidente della Onna Onlus, che sta seguendo passo passo tutto quanto avviene per il post terremoto.
Papola, in particolare, ha annunciato che i vigili del fuoco, in collaborazione con la protezione civile tedesca, hanno iniziato il lavoro di rimozione delle macerie di Onna e del recupero degli oggetti dentro le case danneggiate. «Un segnale importante» ha detto Papola «il quale ha invitato tutti a lavorare sodo e mettere da parte le polemiche». Erano presenti all’incontro anche l’assessore provinciale dell’Aquila Pio Alleva, l’assessore della Provincia di Perugia Roberto Bertini e per la protezione civile tedesca Andreas Seebacher.