Regione, la scure sui piccoli ospedali
Venturoni: saranno riconvertiti Gissi, Casoli, Guardiagrele, Pescina, Tagliacozzo.
PESCARA. Entro l’anno saranno riconvertiti gli ospedali di Gissi, Casoli, Guardiagrele, Pescina, Tagliacozzo. Quello di Ortona e di Atessa non chiuderanno, almeno fino a quando non sarà costruito il nuovo ospedale di Lanciano. Lo ha detto l’assessore Lanfranco Venturoni, ieri in conferenza stampa con gli amministratori di Ortona, preoccupati, questi ultimi, per le manifestazioni che si annunciano a difesa dell’ospedale e in particolare dei reparti di ortopedia, senologia e punto nascita. «Ma si tratta di proteste politiche», osserva Venturoni, «slegate dalla questione sanitaria». La vera questione, dice l’assessore, è che «non è possibile mantenere 35 ospedali in Abruzzo: dobbiamo invece specializzare le strutture, lasciarne poche per malati acuti e trasformare le altre in residenze sanitarie o ospedali di comunità per pazienti cronici, subcronici e per lungodegenti (visto che oggi nei grandi ospedali della regione il 20-30% dei pazienti ha patologie croniche), assicurando però i servizi di emergenza: 118, guardia medica, pronto soccorso».
Un’operazione che alla fine, assicura l’assessore, «avrà costi meno onerosi e svilupperà un livello di professionalità molto più alto, perché se invece di avere due reparti uguali da dieci posti letto in due ospedali, ne facciamo uno di 20 posti letto in un solo ospedale, la qualità degli interventi inevitabilmente migliora. È un fatto scientifico incontrovertibile». Per andare sul concreto, Venturoni cita il caso del polo d’eccellenza cardiologico e cardiochirurgico dell’ospedale di Teramo che prima o poi dovrà assorbire le unità coronariche degli ospedali di Sant’Omero, Giulianova e Atri («perché in quegli ospedali oggi non fai l’angioplastica e sei costretto a trasferire i pazienti, con tutti i rischi del caso»). Ma per spostare i pazienti cronici e concentrare gli acuti, «bisogna prima creare l’alternativa». Per questo Ortona e Atessa al momento resteranno, perché «oggi Lanciano e Chieti non possono assorbire i pazienti acuti di questi due ospedali».
Ma queste sono scelte tecniche, dice Venturoni, «sulle quali i sindaci non possono mettere bocca. Loro devono solo preoccuparsi che la struttura sia piena e che dia un servizio adeguato». Affinché l’intera operazione quadri, Venturoni ritiene necessaria la costruzione di cinque nuovi ospedali a Vasto, Lanciano, Sulmona, Giulianova, Avezzano che con i quattro provinciali «sarebbero sufficienti a coprire la domanda». «Costruire il nuovo è meno costoso che ristrutturare il vecchio», precisa l’assessore. I soldi? «Per quelli non c’è problema, ci sono già e se non bastano possiamo utilizzare strumenti come il project financing. Io temo più i tempi necessari per ottenere tutte le autorizzazioni.
Ma penso che entro l’anno prossimo l’operazione possa partire». Sarà la legge sul terremoto a dare una mano a Venturoni, che pensa ai 240 milioni che il Cipe, grazie al decreto Abruzzo, ha assegnato alla Regione. Ma ci sono anche i soldi dell’articolo 20 (sempre fondi Cipe), disponibili dal 1988 e mai utilizzati, come i 27 miliardi di vecchie lire stanziati per l’ospedale di Teramo o gli 80 miliardi di lire per Vasto. Soldi che si possono recuperare, «anche se con quelli si potrà fare la metà di quanto si poteva fare vent’anni fa».
Un’operazione che alla fine, assicura l’assessore, «avrà costi meno onerosi e svilupperà un livello di professionalità molto più alto, perché se invece di avere due reparti uguali da dieci posti letto in due ospedali, ne facciamo uno di 20 posti letto in un solo ospedale, la qualità degli interventi inevitabilmente migliora. È un fatto scientifico incontrovertibile». Per andare sul concreto, Venturoni cita il caso del polo d’eccellenza cardiologico e cardiochirurgico dell’ospedale di Teramo che prima o poi dovrà assorbire le unità coronariche degli ospedali di Sant’Omero, Giulianova e Atri («perché in quegli ospedali oggi non fai l’angioplastica e sei costretto a trasferire i pazienti, con tutti i rischi del caso»). Ma per spostare i pazienti cronici e concentrare gli acuti, «bisogna prima creare l’alternativa». Per questo Ortona e Atessa al momento resteranno, perché «oggi Lanciano e Chieti non possono assorbire i pazienti acuti di questi due ospedali».
Ma queste sono scelte tecniche, dice Venturoni, «sulle quali i sindaci non possono mettere bocca. Loro devono solo preoccuparsi che la struttura sia piena e che dia un servizio adeguato». Affinché l’intera operazione quadri, Venturoni ritiene necessaria la costruzione di cinque nuovi ospedali a Vasto, Lanciano, Sulmona, Giulianova, Avezzano che con i quattro provinciali «sarebbero sufficienti a coprire la domanda». «Costruire il nuovo è meno costoso che ristrutturare il vecchio», precisa l’assessore. I soldi? «Per quelli non c’è problema, ci sono già e se non bastano possiamo utilizzare strumenti come il project financing. Io temo più i tempi necessari per ottenere tutte le autorizzazioni.
Ma penso che entro l’anno prossimo l’operazione possa partire». Sarà la legge sul terremoto a dare una mano a Venturoni, che pensa ai 240 milioni che il Cipe, grazie al decreto Abruzzo, ha assegnato alla Regione. Ma ci sono anche i soldi dell’articolo 20 (sempre fondi Cipe), disponibili dal 1988 e mai utilizzati, come i 27 miliardi di vecchie lire stanziati per l’ospedale di Teramo o gli 80 miliardi di lire per Vasto. Soldi che si possono recuperare, «anche se con quelli si potrà fare la metà di quanto si poteva fare vent’anni fa».