Sciolto il Comune, a giugno si torna alle urne
Ma il decreto del Capo dello Stato lascia in carica giunta e consiglio comunale.
PESCARA. I pescaresi torneranno alle urne il 6 e 7 giugno prossimo per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale. Ma andranno al voto anticipato con una giunta in carica, guidata dal vice sindaco Camillo D’Angelo e con l’Assemblea elettiva nella pienezza delle sue funzioni. I dubbi, le ridde di voci innescate dal «caso D’Alfonso», sono state messe a tacere dal Quirinale.
Il Comune di Pescara è stato infatti sciolto con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno, dopo aver preso semplicemente atto di una dichiarazione del sindaco Luciano D’Alfonso ratificata dal consiglio comunale: l’impedimento «permanente» a svolgere le proprie funzioni di amministratore. Una semplice comunicazione alla città e agli organi istituzionali, sia pure affiancata da un certificato medico che pare abbia avuto un peso relativo in tutta questa vicenda, nonostante qualcuno ne abbia fatto la vera pietra dello scandalo.
Un caso del tutto anomalo, contemplato dall’articolo 53 del Testo Unico degli enti locali, ma che non si era mai presentato in un’articolazione così inedita e complessa: un sindaco che prima rassegna le dimissioni a causa delle inchieste giudiziarie che lo vedono indagato per gravi reati, dalla concussione all’associazione per delinquere, e poi le ritira nell’ultimo giorno utile previsto dalla legge dichiarandosi, nello stesso tempo, impedito «permanentemente» a svolgere la sua funzione.
D’Alfonso evita così il commissariamento del Comune e lascia in vita l’esecutivo e il consiglio comunale sino a nuove elezioni. Le opposizioni gridano allo «scandalo», ma ora il decreto del presidente della Repubblica non fa che certificare la situazione cristallizzata da quel colpo di scena del 5 gennaio scorso, quando il sindaco comunicò la sua nuova, machiavellica, decisione: ritiro le dimissioni ma il peso delle inchieste ha aggravato il mio stato di salute e non mi consente di tornare a Palazzo di città.
Le prime reazioni arrivano dalla giunta in carica: «Abbiamo lavorato avendo la certezza che si andava a votare, quindi non dobbiamo modificare il nostro cronoprogramma», è il commento a caldo del vice sindaco Camillo D’Angelo: «E’ tutto normale, come noi avevamo detto. Qualcuno non ci ha creduto, pensando che volessimo sfruttare la situazione e occupare poltrone ancorché acquisite legittimamente. Non ci sarà un commissario, e questo è un bene per la città».
D’Angelo rafforza il concetto: «Una persona estranea non avrebbe avuto interesse a sviluppare nulla di nuovo, dovendo occuparsi solo della normale amministrazione». Accompagnare il Comune alle elezioni, lasciare in carica la sua giunta per non interrompere l’attività amministrativa, le opere, anche in vista dei Giochi del Mediterraneo in programma nel mese di giugno, a ridosso del voto. Era questo il disegno del sindaco D’Alfonso. Nel centrodestra il colpo sembra già assorbito.
Il senatore del Pdl Andrea Pastore ha espresso l’auspicio che «il decreto di scioglimento del presidente della Repubblica non venga impugnato, perché questo metterebbe nel caos le istituzioni cittadine e la comunità pescarese». Ma il notaio aggiunge di essere in attesa di conoscere la motivazione del provvedimento «per valutare con maggiore dovizia di particolari i presupposti e gli effetti dello scioglimento». Sembra che si discuta ancora sui reali poteri di giunta e consiglio comunale nella fase di transizione.
Pastore non risparmia la stoccata finale: «Con il decreto di scioglimento del consiglio comunale e con il ritorno alle urne nel giugno prossimo, diventa effettiva la possibilità per i pescaresi di scegliere amministratori non compromessi con la gestione D’Alfonso. Resta l’amarezza» conclude l’esponente del Pdl «che il sindaco, con l’ennesima capriola che l’ha portato al di fuori della legalità, abbia compiuto una vera e propria truffa istituzionale».
Il Comune di Pescara è stato infatti sciolto con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno, dopo aver preso semplicemente atto di una dichiarazione del sindaco Luciano D’Alfonso ratificata dal consiglio comunale: l’impedimento «permanente» a svolgere le proprie funzioni di amministratore. Una semplice comunicazione alla città e agli organi istituzionali, sia pure affiancata da un certificato medico che pare abbia avuto un peso relativo in tutta questa vicenda, nonostante qualcuno ne abbia fatto la vera pietra dello scandalo.
Un caso del tutto anomalo, contemplato dall’articolo 53 del Testo Unico degli enti locali, ma che non si era mai presentato in un’articolazione così inedita e complessa: un sindaco che prima rassegna le dimissioni a causa delle inchieste giudiziarie che lo vedono indagato per gravi reati, dalla concussione all’associazione per delinquere, e poi le ritira nell’ultimo giorno utile previsto dalla legge dichiarandosi, nello stesso tempo, impedito «permanentemente» a svolgere la sua funzione.
D’Alfonso evita così il commissariamento del Comune e lascia in vita l’esecutivo e il consiglio comunale sino a nuove elezioni. Le opposizioni gridano allo «scandalo», ma ora il decreto del presidente della Repubblica non fa che certificare la situazione cristallizzata da quel colpo di scena del 5 gennaio scorso, quando il sindaco comunicò la sua nuova, machiavellica, decisione: ritiro le dimissioni ma il peso delle inchieste ha aggravato il mio stato di salute e non mi consente di tornare a Palazzo di città.
Le prime reazioni arrivano dalla giunta in carica: «Abbiamo lavorato avendo la certezza che si andava a votare, quindi non dobbiamo modificare il nostro cronoprogramma», è il commento a caldo del vice sindaco Camillo D’Angelo: «E’ tutto normale, come noi avevamo detto. Qualcuno non ci ha creduto, pensando che volessimo sfruttare la situazione e occupare poltrone ancorché acquisite legittimamente. Non ci sarà un commissario, e questo è un bene per la città».
D’Angelo rafforza il concetto: «Una persona estranea non avrebbe avuto interesse a sviluppare nulla di nuovo, dovendo occuparsi solo della normale amministrazione». Accompagnare il Comune alle elezioni, lasciare in carica la sua giunta per non interrompere l’attività amministrativa, le opere, anche in vista dei Giochi del Mediterraneo in programma nel mese di giugno, a ridosso del voto. Era questo il disegno del sindaco D’Alfonso. Nel centrodestra il colpo sembra già assorbito.
Il senatore del Pdl Andrea Pastore ha espresso l’auspicio che «il decreto di scioglimento del presidente della Repubblica non venga impugnato, perché questo metterebbe nel caos le istituzioni cittadine e la comunità pescarese». Ma il notaio aggiunge di essere in attesa di conoscere la motivazione del provvedimento «per valutare con maggiore dovizia di particolari i presupposti e gli effetti dello scioglimento». Sembra che si discuta ancora sui reali poteri di giunta e consiglio comunale nella fase di transizione.
Pastore non risparmia la stoccata finale: «Con il decreto di scioglimento del consiglio comunale e con il ritorno alle urne nel giugno prossimo, diventa effettiva la possibilità per i pescaresi di scegliere amministratori non compromessi con la gestione D’Alfonso. Resta l’amarezza» conclude l’esponente del Pdl «che il sindaco, con l’ennesima capriola che l’ha portato al di fuori della legalità, abbia compiuto una vera e propria truffa istituzionale».