Venturoni sotto inchiesta

L’accusa: tentata corruzione per l’appalto pilotato.

PESCARA. La bufera giudiziaria che ha investito l’ex assessore regionale Italo Mileti e l’ex amministratore delegato della Fira Servizi Claudio D’Alesio travolge l’assessore alla Sanità Lanfranco Venturoni, gettando pesanti ombre sulla gestione della ricostruzione. L’ipotesi della procura di Pescara sarebbe tentata corruzione con l’obiettivo di pilotare un appalto e favorire imprenditori amici. Secondo l’accusa, l’assessore sarebbe stato pronto ad accettare una dazione cospicua, centinaia di migliaia di euro, per consentire l’insediamento degli uffici amministrativi della Asl rimasti senza sede dopo il sisma del 6 aprile in un capannone privato costruito a L’Aquila, nelle vicinanze dell’ospedale San Salvatore, dall’imprenditore Alido Venturi. Un affare da 15 milioni di euro, un terzo della cifra (47 milioni) pagata dall’assicurazione alla Asl dopo il terremoto: un affare per il quale - tra luglio e settembre - sarebbe stato stretto un patto negli uffici dell’assessorato alla Sanità.

Con Lanfranco Venturoni, finisce nell’inchiesta Ground zero, l’ex direttore generale della Asl dell’Aquila Roberto Marzetti, che secondo l’ipotesi accusatoria del sostituto procuratore Gennaro Varone sarebbe responsabile dello stesso reato. Assieme a lui, risulterebbero iscritte nel registro degli indagati altre tre persone: Enzo Mancinelli, dirigente del servizio di Programmazione sanitaria della Regione Abruzzo, e gli imprenditori Venturi ed Enrico Tessitore, che sarebbero tutti chiamati a rispondere di tentata corruzione aggravata. Indagati per una ipotesi più grave di quella che, alle prime ore di lunedì, ha portato in carcere Italo Mileti e Claudio D’Alesio, accompagnati in carcere dai carabinieri coordinati dal tenente colonnello Marcello Scocchera e dal maggiore Guido Gargarella.

Ai due arrestati il pm contesta il reato di millantato credito per illecita intermediazione verso pubblici ufficiali nell’ambito delle attività per la ricostruzione. Il coinvolgimento di Venturoni, che costringe il centrodestra al governo della Regione a un’alzata di scudi a difesa dell’assessore, segna la svolta in un’inchiesta che ha appena mosso i primi passi e che potrebbe riservare nuove sorprese già nei prossimi giorni. L’assessore alla Sanità sarebbe entrato nell’affare grazie all’intermediazione di Mileti, ex assessore comunale e regionale di Forza Italia: secondo l’accusa, avrebbe ricevuto una promessa di denaro in cambio del suo impegno a favorire il trasferimento degli uffici della Asl nel capannone, rimasto inutilizzato dopo il terremoto.

Per farlo, sarebbe stato necessario trovare una formula per superare il filtro della gara, utilizzando per esempio il sistema della concessione amministrativa, meccanismo previsto dal codice degli appalti del quale, però, non ricorrevano i requisiti. Per portare a termine l’operazione, secondo la procura, Venturoni avrebbe parlato dell’appalto con il presidente della Regione Gianni Chiodi, al quale avrebbe chiesto che la gestione della seconda fase della ricostruzione delle strutture sanitarie fosse affidata in via d’urgenza alla stessa Asl. Perché? Per allentare le maglie dei controlli, potendo contare sul sostegno di altre persone inserite nell’amministrazione pubblica. Intanto l’allora direttore generale della Asl dell’Aquila Marzetti, e con lui il funzionario regionale Mancinelli.

Il primo, secondo l’ipotesi dell’accusa, avrebbe accettato di appoggiare l’assegnazione dell’appalto; il secondo si sarebbe impegnato a costruire un bando di gara con la formula dell’acquisizione di servizi piuttosto che dell’acquisizione patrimoniale, in modo da aggirare l’approvazione, altrimenti necessaria, della giunta regionale. Questo sistema, costruito per estromettere eventuali ditte concorrenti, avrebbe permesso agli imprenditori di incassare 15 milioni di euro per la fornitura del capannone (tre piani per 7500 metri quadrati) che avrebbe potuto essere venduto o affittato, e finalmente utilizzato dopo che il terremoto aveva messo in fuga la multinazionale alla quale era destinato. Il patto - costruito su quella che per il pm è un tentativo di corruzione - sarebbe stato raggiunto tra Venturoni, Mileti e D’Alesio nella sede dell’assessorato, in via Conte di Ruvo, tra il 15 luglio e la prima metà di settembre.

Quell’accordo, che adesso dovrà essere provato, sarebbe stato seguito poche settimane dopo dalla notifica dei primi avvisi di garanzia, arrivati ad alcuni indagati già a inizio ottobre. Il presunto affare da 15 milioni di euro, infatti, sarebbe rimasto impigliato per caso nelle maglie delle intercettazioni, consentendo agli investigatori di mandare in fumo il piano. Fino agli arresti, decisi dal gip Luca De Ninis per evitare che il reato si compisse. Eppure, secondo Marzetti, che in ottobre era già stato ascoltato dagli inquirenti, quel reato non avrebbe potuto trovare attuazione, perché a fine settembre, prima di lasciare il suo incarico, l’ex manager avrebbe blindato con una delibera i 47 milioni «rendendoli di fatto inutilizzabili». «Il mio cliente ha chiarito ampiamente la sua posizione, con una documentazione che prova la sua estraneità ai fatti» ha detto ieri l’avvocato Tommaso Marchese. Oggi in carcere, a Pescara, Mileti e D’Alesio, assistiti dall’avvocato Giuseppe Cichella, saranno ascoltati dal gip De Ninis e dal pm Varone. «I miei clienti sono accusati di millantato credito, l’ipotesi di tentata corruzione non gli è contestata. Ma non dovrebbero essere loro i presunti corruttori?», ha commentato Cichella parlando di inchiesta piena di «incongruenze».