Gli incontri impossibili nella realtà virtuale

10 Febbraio 2020

Che cosa diremmo se potessimo incontrare una persona morta che ci fu cara in vita? Riusciremmo a tessere di nuovo quella tela di gesti e parole che fece da sfondo al nostro amore? Quell’incontro impossibile è il tema di un documentario televisivo sudcoreano intitolato “I met you” (Ti ho incontrato). La storia è questa. Nel 2016 una donna sudcoreana, Jang, perde Nayeon, la figlia di sette anni in seguito a una malattia incurabile. Tre anni dopo, grazie all’evoluzione delle tecnologie della realtà virtuale, Jang ha potuto incontrare una riproduzione elettronica della figlia in un bosco simulato per il documentario. La madre è, così, riuscita quasi a toccare le mani della figlia e a vederla correre sui prati, giocare tra gli alberi. Nell’Odissea, capita a Ulisse disceso nell’Ade di incontrare la madre. Per tre volte cerca di abbracciarla, ma per tre volte lei sfugge come un’ombra, a sottolineare l’impossibilità del ritorno nel passato degli affetti mutilati. Resteremmo probabilmente muti se un incontro di quel tipo accadesse. Ci mancherebbe la dimensione illimitata del tempo che rende bella la vita, quell’illusione di immortalità che riempiva i nostri colloqui con la persona amata di piccole banalità, di frasi come: “Hai visto che bella giornata?”oppure “Più tardi andiamo a prenderci un caffè”. La nuda grazia della vita che non ritorna.
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