L’editoriale

I pasticci sulle spese per il riarmo

13 Marzo 2025

Il Partito democratico si spacca al momento del voto. I frondisti del Nazareno, anti-Elly Schlein, ieri ne hanno combinata una più di Bertoldo

C’è davvero qualcosa di grottesco nel modo in cui i partiti italiani sono arrivati al voto, a Bruxelles, sulla proposta di ReArm Europe e sull’Ucraina. Sia il Pd che Fratelli d’Italia, infatti, per motivi diversi sono giunti su questi temi a esprimere un voto di astensione, per far quadrare il cerchio delle contraddizioni con le rispettive famiglie politiche: i meloniani preoccupati di non rompere con Trump sull’Ucraina e i Dem desiderosi di non strappare il filo con la famiglia del socialismo europeo (lo stesso era accaduto sul nuovo Patto di stabilità: sia Pd che Fdi astenuti).

Tuttavia, fatta questa premessa, occorre provare a raccontare bene lo spettacolo indecoroso dei frondisti del Nazareno, anti-Elly Schlein che (sempre desiderosi di correre in soccorso del più forte) ieri ne hanno combinata una più di Bertoldo, fino a un grottesco pasticcio in cui i voti contro la linea della segreteria erano più di quelli a favore, 11 a 10. In qualsiasi partito del Novecento, quando la politica era una cosa seria, o si sarebbero dimessi loro, o si sarebbe dimessa la segretaria. Ma nella seconda eventualità i “dissidenti”, come è intuibile, sarebbero inseguiti dai loro stessi elettori con i forconi. Tuttavia siamo nel 2025, per giunta in Italia, e non accadrà nulla.

Ed ecco le maschere più patetiche e grottesche della giornata. L’eurodeputata Lucia Annunziata (ed era già accaduto!) ha dichiarato di aver «sbagliato voto» e lo ha fatto mettere addirittura a verbale. E vabbè. Mentre due delle “ribelli”, Elisabetta Gualmini e Alessandra Moretti, si sono evidentemente dimenticate di aver solennemente dichiarato, solo la settimana scorsa: «Ci autosospendiamo dal parlamento». Un annuncio meritorio ed elegante, dopo la notizia di un loro coinvolgimento nell’inchiesta sul Quatargate. Questo accadeva non un anno fa, ma solo il 5 marzo, evidentemente l’eleganza e la coerenza sono durate meno di una settimana. E cosa dire di Pina Picierno, instancabile promotrice e animatrice della rivolta anti-Schlein di cui non dimentichiamo le suppliche al momento delle candidature, per ottenere mano libera nella circoscrizione Sud. Grazie alla sua ortodossia è riuscita – una volta eletta – a ottenere la poltronissima di vicepresidente del Parlamento europeo, con la possibilità di assortire un corposo staff di collaboratori assunti (mentre i suoi concorrenti, nella circoscrizione Sud, facevano campagne low cost). Stefano Bonaccini, in un voto precedente, si era inventato una nuova formula creativa, quella dell’astensione in aula, Antonio De Caro è in predicato di essere candidato alla guida della regione Puglia e tutti gli altri che hanno votato il loro convinto “Sì” a sostegno del progetto di riarmo (Giorgio Gori, Giuseppe Lupo, Pier Francesco Maran, Irene Tinagli, Lello Topo) sanno benissimo che in nessuna sezione del Pd, riuscirebbero a convincere i militanti del loro partito della loro scelta.

Al confine estremo del grottesco, nella speranza di risolvere con qualche invenzione onomastica i problemi della politica, i parlamentari di Fratelli d’Italia e del Pd si sono uniti in un voto surreale: quello che chiedeva di cambiare il nome del progetto di riarmo più importante degli ultimi anni, da “RiarmEurope” a “DefendEurope” (come se cambiasse qualcosa). Ma mentre i deputati meloniani sono rimasti uniti, quelli della minoranza Pd (di cui almeno la metà sono in Parlamento, da miracolati, solo perché alle scorse europee la Schlein si è rivelata una ottima acchiappa-voti) hanno sentito il bisogno impellente di differenziarsi. Con un ulteriore paradosso: mentre alcuni eletti con una fortissima storia pacifista alle spalle e che per giunta non sono neanche iscritti al Pd (sono stati eletti come indipendenti) rinunciavano a votare contro per spirito di squadra, accettando di astenersi, gli undici irriducibili (nella stragrande maggioranza iscritti, e con tessera) hanno rifiutato qualsiasi mediazione. La disciplina di partito, insomma, l’hanno adottata solo quelli che non hanno un partito. Curioso, no?

Ma il tema è ancora più importante, e delicato, e riguarda tutta la politica italiana, al punto che, sui temi del finanziamento all’industria delle armi e alla guerra, stanno facendo saltare tutti i confini tra destra e sinistra. A questi eurodeputati a targhe alterne, che si dichiarano pacifisti quando devono essere eletti, e che diventano bellicisti quando devono essere riconfermati, vorrei chiedere: ma davvero si può accettare che il patto di stabilità resti inviolabile come un Dogma di Fede quando si tratta di spesa sociale, e che scompaia, per incanto, solo se si tratta di comprare armamenti? Quando Elly Schlein (ma persino alcuni eletti della Lega) ci ricordano che questi soldi «non vengono destinati alla spesa comune, ma al riarmo dei singoli Stati», dicono una verità innegabile. Abbiamo usato (noi europei) la guerra di Ucraina per svuotare gli arsenali di sistemi di arma che avevano più di mezzo secolo (i mitici cannoni Fh70 mai sparato un colpo, in mezzo secolo!) e adesso stiamo usando la parte terminale di questo conflitto per alimentare ventisette diversi eserciti, con ventisette diverse dotazioni.

Tuttavia, per proseguire questa folle politica di spesa separata si possono fare investimenti a debito, mentre per attrezzare gli ospedali e assumere medici (solo per fare l’esempio più plateale) non si può. L’Europa dei due pesi e delle due misure nasce sulla moneta e sulla guerra, e neanche per sbaglio sente di dover dare un messaggio sulla spesa sociale. Fra l’altro, tutto questo accade solo dopo averci fatto lezioni interminabili sull’insostenibilità dei debiti nazionali dei paesi membri. Tutti i cosiddetti “paesi frugali” del nord Europa, che hanno trasformato il rigore sulla spesa sociale in un vangelo (fino a ieri), oggi, sono in prima fila per sostenere il piano da 800 miliardi in deficit sulla spesa militare. Ma non finisce qui: come spiega una fonte al di sopra di qualsiasi sospetto (l’Edis, il sistema europeo di assicurazioni e depositi) l’80% di questi investimenti non produce nessuna espansione economica perché sono fatti tutti fuori dal territorio europeo. Non solo: le uscite non sono una tantum. Le spese correnti per personale, servizi, manutenzioni ordinarie e straordinarie militari diventeranno subito di carattere permanente. È già aumentata la spesa per interessi, sia perché sale il deficit, sia perché sono saliti immediatamente i tassi dei titoli di Stato. In primo luogo – ovviamente – quelli dell’Italia e della Francia (i paesi più indebitati). Voi direte: e chi lo dice questo? Quel pacifista incorreggibile del Papa? I beati Costruttori di pace? No, lo dicono i mercati, perché è già accaduto. È bastato l’annuncio di adesione al piano del (futuro) cancelliere tedesco Mertz perché l’asta dei nostri Btp salisse di oltre 40 punti base. Anche contandoli male si tratta di 12 miliardi: il costo di una finanziaria. Tutto questo mentre nelle corsie degli ospedali mandiamo a lavorare medici con l’assegno di ricerca, mentre reggiamo le università con i dottorandi, mentre perdiamo i fondi del Pnrr, perché, come ti spiega qualunque sindaco, abbiamo gli ufficiali comunali a cui, in nome del rigore, è stato bloccato per vent’anni qualsiasi turn over: abbiamo degli impiegati che non sanno aprire un file di Excel. Quindi puoi chiamarlo ReArmEurope, DefendEurope, o anche solo “Pippo”. Ma è il costo sociale di questi investimenti che è folle, non i nomignoli sexy che i politici sognano per poter meglio abbindolare i loro elettori. Fra l’altro, trattandosi di obiettivi percentuali uguali, divisi fra bilanci di Stato diseguali, il primo risultato sarà che il paese con il più grande riarmo in Europa sarà la Germania.

Mi ha molto colpito la battuta di Janan Ganash, editorialista del Financial Times (almeno all’estero hanno il merito della chiarezza) che riassume il tutto così: «L’Europa deve tagliare il suo welfare state per costruire il suo warfare state». Che votino pure a favore, gli eroici dissidenti anti-Schlein: ma che dopo tacciano, almeno sino alla fine della legislatura. Non perché vogliamo imporre loro il silenzio, ma perché sarebbe utile proteggerli dal ridicolo.

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